Tre le varietà più famose delle circa 500 presenti in Italia, due legate ai luoghi di origine, quella piccola e nera di Gaeta e la Taggiasca della Riviera ligure e la terza, l’oliva di Napoli, legata, invece, al luogo di lavorazione, la zona di Somma Vesuviana. Conosciuta anche come oliva bianca (o di Napoli, appunto) in realtà è la siliciana nocellara, una delle più buone da tavola. Grande, verde e polposa è gustosissima “alla messinese”, ripiena di un impasto di mollica di pane, olio, sale, acciughe e qualche verdurina sott’aceto finemente tritata. Tanto usate quanto conosciute nell’antichità, già nel 42 A.C. il “De Re Rustica”,
Come per le ciliegie vale il detto che “una tira l’altra”, ma a differenza delle prime le olive non possono essere mangiate appena colte. Contengono, infatti, l’oleuropeina che gli conferisce un sapore amaro che va via solo con il trattamento in salamoia, una delle più antiche forme di conservazione dei cibi.
Meno nota ma altrettanto gustosa l’oliva “al forno” o “calabrese”, ottenuta incidendo e infornando olive di Gaeta. Dopo averle lasciate per circa 10 giorni in due strati di sale, vengono lavate e infornate, generalmente su telai di stoffa, preferibilmente in forni a legna e possibilmente al termine della cottura del pane.
Sono un frutto stagionale ma che si trova tutto l’anno, da gennaio a dicembre. Ancora oggi, in molti mercati vengono esposte nei tipici tini di legno in cui da secoli si trattano e si conservano. Così come si trovano praticamente in tutti i banchi di salumeria, anche nei moderni ipermercati, snocciolate, schiacciate e aromatizzate. Paradossalmente, gli Stati Uniti, che principalmente le importano, sono con il 10% il più grande consumatore mondiale. Molto nutrienti aiutano la digestione e proteggono dal tumore del colon, ricche di tocoferoli e tocotrienoli hanno un elevatissimo potere antiossidante, contengono sali minerali e vitamine in percentuale maggiore di verdure e ortaggi.
Tante informazioni sul sito dell’Consiglio Oleicolo Internazionale