“La pida sé parsot la pis un po m’ a tot” (“La piadina col prosciutto piace a tutti”). Alzi la mano chi è stato in Romagna e non ha sentito cantare questo tormentone! La piadina è l’emblema di un territorio, di una tradizione culinaria le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Usata per accompagnare i piatti o farcita col classico abbinamento crudo, squacquerone e rucola, la piadina è quasi un patrimonio dell’umanità nella regione, tanto che i romagnoli l’11 luglio festeggiano la Giornata della Piadina!

Diffusa per lo più nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini, la “piè” “piida” o “piadèna” è preparata secondo un preciso “Disciplinare di produzione dell’indicazione geografica protetta” che indica procedimento e ingredienti. Occorrono acqua, farina, strutto e un pizzico di sale per creare la magia del sapore. C’è poi chi si concede delle golose licenze e ricorre a delle “tips” per dare struttura all’impasto, come l’aggiunta di miele che rende ancor più speciali piadine e crescioni di Ca’ de Be’ (tradotto casa del vino), una vera istituzione a Bertinoro, dove la pietanza ben si accompagna ai migliori vini della Romagna come il Sangiovese.

“Dopo aver impastato gli ingredienti e lasciato riposare in palline – svela  Francesco Salvatore, chef di Ca’ de Be – il composto ottenuto si stende a forma di disco, più piatto per il crescione, leggermente più grosso per la piadina. Il crescione, viene successivamente farcito, poi ripiegato su sé stesso a mezzaluna e serrato sui bordi coi rebbi di una forchetta. La piadina, invece, viene farcita dopo la cottura”. 

Ma ritorniamo alla storia. Cibo semplice ed economico molto diffuso nella tradizione culinaria contadina, le origini della piadina sembrano risalire all’epoca etrusca. Siamo attorno al 1200 a.C. nei siti delle palafitte lombarde, dove si preparavano focacce a base di acqua e farina, cotte sopra a tegole roventi.

Si dice che addirittura Enea, sbarcato in terra italica, rimasto privo di cibo, avesse cominciato a nutrirsi di questo impasto piatto che serviva come “plattus” sopra al quale consumare le pietanze. La semplicità della “ricetta” influenza successivamente i romani che cominciano a prepararlo prima con l’orzo, poi con il farro e il grano.

Nell’Italia povera e contadina a cavallo fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, le piadine erano un cibo molto diffuso perché più accessibile del pane, veloce da preparare e soprattutto in grado di saziare più a lungo. Le massaie romagnole, le “azdore”, stendevano i panetti con i loro mattarelli, per poi metterli a cuocere nei forni a legna. Una volta pronte, le piadine venivano inizialmente tagliate in più parti per accompagnare le pietanze. Successivamente cominciarono a essere farcite con salumi, verdure e quanto era a portata di tavola. 

Vi è venuta fame? Noi consigliamo la variante con salame e pecorino, accompagnata da un calice di Romagna Albana DOCG.

 

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