“Prendete un chilogrammo di vitella di latte, nella coscia o nel culaccio, tutto unito e senz’osso, levategli le pelletiche e il grasso, poi steccatelo con due acciughe”. Comincia così la descrizione del Vitello Tonnato fatta da Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina e l’arte del mangiar bene del 1891, uno dei piatti più celebri della cucina piemontese che rappresenta una delle ‘bandiere’ gastronomiche dell’Italia nel mondo. Ricetta simbolo degli anni ’80 del secolo scorso, poi quasi scomparsa dai menù di ristoranti, gastronomie e tavole calde dove oggi sta tornando da protagonista, riscoperta nella sua versione più autentica legata proprio a quell’aggettivo che lo caratterizza – tonnato – che poco o nulla ha a che fare con tonno. Il termine dialettale tonné, tradotto con “tonnato”, infatti, derivava dal francese tanner (“conciare”) ed era in realtà riferito al metodo di cottura della carne, che veniva appunto conciata con vino, aceto e aromi.
Pare, quindi, che Artusi, pur nella sua scrupolosità, aggiunse qualcosa che in origine non c’era, interpretando erroneamente la parola in dialetto, come emerge proprio da suo famoso libro: “Pestate grammi 100 di tonno sott’olio e due acciughe; disfateli bene colla lama di un coltello o, meglio, passateli dallo staccioaggiungendo olio fine in abbondanza a poco per volta e l’agro di un limone od anche più, in modo che la salsa riesca liquida; per ultimo mescolateci un pugnello di capperi spremuti dall’aceto. Servite il vitello tonnato con la sua salsa e con spicchi di limone”.
L’utilizzo del tonno, entrato per ‘sbaglio’ in questa preparazione, si diffuse ancora di più quando Ada Boni inserì la ricetta ne Il talismano della felicità (1929), chiamandola “Vitello a uso tonno”. Nella versione proposta dalla gastronoma romana il tonno doveva cuocere assieme alla carne, al vino e agli odori, dopodiché con il fondo di cottura si preparava una salsa da servire sul vitello a fette.
Il merito di aver diffuso la fama della pietanza va comunque proprio allo storico egastronomo romagnolo, che nella sua opera pubblicò per la prima volta questa ricetta nata in casa Savoia – anche se, purtroppo, non ci sono documenti ufficiali che lo attestano –, dalla creatività di qualche cuoco di corte che unì un ingrediente pregiato e ‘nobile’ come la carne di vitello ad altri più umili e di tradizione contadina, come le acciughe – che in Piemonte ritroviamo nella famosa bagna cauda – e i capperi.