Il protagonista del pranzo di Pasqua ad Aragona, piccolo comune dell’entroterra agrigentino, è il Tegame – Taganu o Teganu in dialetto –, un sontuoso timballo di rigatoni conditi con macinato misto di manzo e maiale, salsa di pomodoro, uova battute e tuma a fettine. Nelle abitazioni aragonesi cucinarlo è un rito che si svolge, da secoli, durante il pomeriggio del Sabato Santo e coinvolge la famiglia al completo, rappresentando una sorta di preludio della festa: il marito, i figli, i nonni, tutti aiutano la padrona di casa a preparare il ragù, a lessare la pasta, a ‘comporre’ il pasticcio e infornarlo per almeno due o tre ore, per gustare il giorno successivo un’autentica pietanza da re, che con il suo profumo intenso invade le stradine e le piazze dell’intero borgo.
Pur essendo a tutti gli effetti un ‘piatto unico’, la domenica di resurrezione ’u Taganu non viene di certo consumato da solo, ma come primo, seguito dall’agnello al forno con rosmarino e cipolle e dai dolci, come la famosa pecorella di Favara (a base di pasta di mandorle e farcita al pistacchio) e l’immancabile cassata siciliana. E, se avanza, le famiglie lo portano con loro per la consueta gita del Lunedì in Albis, mangiandolo sui prati assieme alle fave fresche e al pecorino.
Secondo la tradizione, il ‘vero’ Tegame di pasta deve essere cotto in un recipiente largo e basso di terracotta, come facevano in passato i contadini che, dopo aver mescolato tutti gli ingredienti li sistemavano nei tegani – i vasi fatti fatti con la creta delle Maccalube, una vasta e selvaggia riserva vulcanica che sorge a pochi chilometri da Aragona, su un terreno argilloso –, che venivano poi rotti con l’aiuto di un martello per estrarre la pietanza. Oggi questi tegami, considerati preziosi perché difficili da reperire, naturalmente non vengono più distrutti, anzi, costituiscono un piccolo ‘cimelio’ da custodire gelosamente.