Quelli in salamoia sono da sempre protagonisti dell’aperitivo: bar e locali li servono insieme a patatine, olive e altri stuzzichini, per accompagnare cocktail e analcolici. E se nel Sud Italia è possibile trovarli nei chioschi e sulle bancarelle degli ambulanti, nelle sagre e nelle feste di paese, in cucina i lupini sono un po’ trascurati: come tutti i legumi, invece, si prestano a tante preparazioni e sono un autentico concentrato di virtù benefiche per l’organismo. Lo sapevano bene i nostri nonni, che per secoli ne hanno fatto uno degli alimenti alla base della loro alimentazione, mangiandoli con la pasta o il riso, come fagioli, ceci e cicerchie.
Protagonisti di minestre e polpette
I lupini possono essere cotti insieme agli altri legumi – fagioli, lenticchie o ceci –, diventando protagonisti di nutrienti zuppe invernali, da accompagnare con il pane abbrustolito, oppure con la pasta mista o i maltagliati. Da provare la ricetta riportata nella guida di Slow Food In bocca al lupino, che suggerisce di utilizzarli per un ricco minestrone con il riso, la verza, le bietole, i fagiolini e le patate. Si prestano pure alla preparazione di leggere insalate – uniti a lattuga e pomodori e conditi con olio e sale –, di sfiziosi hamburger e polpette vegetariane – lessati, frullati e mescolati con uova, aromi, patate lesse e schiacciate –, da cuocere in forno e gustare come antipasto o secondo piatto.
In commercio i lupini si trovano sia secchi che precotti. I primi hanno un sapore molto amaro – dovuto alla presenza di due sostanze alcaloidi, la lupaina e la lupinina – che va via dopo aver seguito un lungo procedimento: 48 ore in acqua fredda, bollitura in acqua pulita, altri cinque o sei giorni di ammollo e un’ultima cottura con acqua e sale grosso. Quelli precotti, già sottoposti al processo che permette di eliminare le due sostanze amare, sono più pratici da usare: prima di cucinarli è necessario soltanto sciacquarli sotto l’acqua corrente, per togliere il sale in eccesso.
Dai lupini si ricava una farina completamente priva di glutine, adatta per produrre pane, biscotti e prodotti da forno, ottima per l’alimentazione dei celiaci. E i semi, tostati e macinati, in passato venivano impiegati persino per produrre una bevanda scura, che nelle case povere sostituiva il costoso caffè.
Una fonte di proteine e amminoacidi
I lupini vantano un altissimo contenuto di proteine (il 35-40% del loro peso), sono ricchi di fibre (14-16%), di vitamine (A, B e C) e di minerali, tra cui calcio, fosforo, ferro e magnesio. Racchiudono, ancora, amminoacidi essenziali come la lisina (che favorisce lo sviluppo delle cellule cerebrali ed è fondamentale durante l’età evolutiva) e la metionina (utile per metabolizzare l’insulina e ridurre i grassi nel sangue) e acidi grassi Omega 3, che abbassano i livelli di colesterolo nel sangue e proteggono il cuore.
Per questo, nel 2016 – proclamato dalla FAO Anno Internazionale dei Legumi –, il Crea (Consiglio per ricerca in agricoltura) intende favorire il ritorno sulle tavole italiane di questo prezioso legume: per farlo, ai primi dicembre ha presentato ad Acireale – dove la pianta del Lupinus luteus viene coltivata da secoli –, un pane dall’alto valore proteico, impastato con farine di lupino bianco e frumento duro siciliano, fibre di agrumi ed estratto di bioflavonoidi di limone, indicato in particolare per la dieta di sportivi e per quanti soffrono di ipercolesterolemia e ipertensione.
I romani li mangiavano al posto della carne
Già coltivati 4.000 anni fa nel bacino dagli egizi e dai maya, in epoca romana i lupini erano diffusissimi, tanto che i soldati, durante i lunghi spostamenti con l’esercito, li consumavano spesso al posto della carne. Per millenni l’unica varietà esistente è stata quella bianca (Lupinus albus), a cui solo negli anni Trenta del Novecento si è aggiunta la gialla (Lupinus luteus), la più utilizzata in cucina. Considerati da sempre un alimento povero, fino al secolo scorso i lupini erano immancabili sulle tavole – Verga, ne I Malavoglia (1881), racconta proprio la storia di una famiglia di pescatori decaduti che si dà al commercio di questi legumi –, ma negli ultimi cinquant’anni sono stati progressivamente abbandonati. Oggi in Italia vengono coltivati tra la Toscana, il Lazio, la Calabria, la Puglia, la Campania e la Sicilia. Tra le varietà più pregiate troviamo il lupino dolce di Grosseto, che ha una forma tondeggiante, un colore giallo e un sapore delicato, e il gigante di Vairano, coltivato nell’omonimo comune in provincia di Caserta, dai semi grandi e bianchi.