Capita spesso di ritrovare nella tradizione culinaria italiana gli stessi piatti o le stesse preparazioni sulle tavole di regioni anche distanti tra loro e chiamate in modo diverso. Ad esempio lo gnocco fritto che si può trovare in Liguria, in Toscana ed Emilia Romagna con nomi diversi o anche la panzanella che con qualche piccola variante si può trovare in Toscana, Lazio, Umbria e Marche, e, se si considerano anche le friselle che hanno ingredienti simili, si può considerare anche la Campania, Calabria e Puglia.
Qualcosa di simile accade anche per una particolare pasta foggiana, i troccoli, a ben guardare molto simili ai bigoli veneti, agli spaghetti alla chitarra ben conosciuti in Abruzzo e ai pici toscani o ai tonnarelli laziali. È probabile che le transumanze dei pastori o i rapporti commerciali tra le regioni abbia favorito la diffusioni di tante specialità. Cambiano gli strumenti utilizzati per prepararli, ma il risultato finale si assomiglia moltissimo. Per i troccoli è necessario “u turchje”, il troccolaturo, un mattarello rigato che viene passato sulla pasta già stesa e che separa la pasta formando dei grossi spaghettoni. Uno strumento indispensabile per preparare questi speciali spaghetti e che si può trovare ancora oggi con un po’ di fortuna nei mercatini pugliesi. Per gli spaghetti alla chitarra si usa una speciale strumento con delle corde che tagliano la pasta, per i bigoli invece il torchio.
Nel Viterbese invece ogni singolo spaghetto si ottiene arrotolandolo fino a renderlo sottile, ottenendo in questo caso uno spaghetto dalla sezione tonda e non quadrata.
Si preparano utilizzando la semola di grano duro finissima, acqua e uova e la tradizione li vuole conditi con un ragù di carne mista, o il cosiddetto ragù trino (di agnello, vitello e maiale), ma sono ottimi anche con funghi salsiccia e pomodorini, la versione laziale è preparata con cacio e pepe, e comunque si adattano a condimenti di ogni tipo, anche di mare.