Appartiene alla famiglia dei girasoli, ha il sapore di un carciofo e l’aspetto dello zenzero, ma è considerato un tubero perché cresce sottoterra, come le patate. È il topinambur, una radice dalle diverse “identità” che fa la sua comparsa al mercato nel periodo invernale.
Crudo e cotto
Dalla consistenza croccante, molto gradevole al palato, il topinambur è ottimo crudo, in insalata, tagliato a fettine sottili e condito con olio, succo di limone o aceto e un pizzico di sale: una ricetta semplice e veloce, ideale come contorno per piatti di carne o pesce, che può essere arricchita aggiungendo uova sode o noci, arance o finocchi, cuori di carciofo o spinaci novelli. In Piemonte è tra gli ingredienti della bagna càuda, una salsa a base di aglio, olio extravergine d’oliva e acciughe in cui si intingono ortaggi di stagione crudi e cotti (cavolfiori, cardi, sedano, carote, patate). Grattugiato, può essere aggiunto a zuppe e minestroni di verdure al termine della cottura, a cui dà un tocco davvero particolare.
Al vapore, trifolato, affettato sottilmente con la mandolina e fritto – per realizzare deliziose ‘chips’ -, al forno con erbe aromatiche e pangrattato: anche cotto il topinambur si presta alle preparazioni più diverse. Il sito Topinambur.it, riporta tante ricette per gustarlo al meglio, suggerendo di aggiungerlo ai primi (tagliatelle al pomodoro, risotto con funghi porcini secchi, pasta con salsiccia e pelati), all’omelette o di frullarlo con brodo e panna per dar vita a una cremosa vellutata.
Negli ultimi tempi questo tubero è diventato un ingrediente privilegiato dei programmi di cucina: nella puntata del 14 gennaio de La prova del cuoco, ad esempio, la cuoca Luisanna Messeri ha preparato un sostanzioso tortino a base di topinambur, cavolo verza, carciofi e prosciutto crudo, legato con un miscuglio di uova e panna e cotto in forno; Benedetta Parodi, invece, nella trasmissione di Real Time Molto bene, lo ha utilizzato per preparare un purè ottimo per accompagnare le polpette o il pesce.
Il topinambur può essere consumato con la buccia, che è sottile e digeribile; prima di cucinarlo è necessario lavarlo bene sotto l’acqua corrente e spazzolarlo per eliminare eventuali residui di terra. Dai tuberi si ottiene anche una farina priva di glutine, adatta all’alimentazione dei celiaci.
Le origini
Originario del Nord America, il topinambur è arrivato nella Penisola nel 1600 e per secoli ha rappresentato una valida alternativa alle patate: economico e nutriente, veniva largamente consumato nei conventi e dalle fasce più umili della popolazione. Fino al secondo dopoguerra, quando, sostituito da alimenti più raffinati, è progressivamente scomparso dalle tavole e dalle abitudini gastronomiche degli italiani. Da qualche anno, però, chef e foodblogger, che spesso vanno a caccia di alimenti ‘dimenticati’, lo hanno riscoperto e reso protagonista di numerose e sfiziose ricette.
Leggero e disintossicante
Il topinambur racchiude l’inulina, una fibra che favorisce la digestione e il benessere della flora intestinale. È leggero e povero di calorie – 100 grammi di prodotto ne contengono appena 70 – e grazie all’elevatissima percentuale d’acqua – l’80% del suo peso – è dotato di spiccate proprietà disintossicanti, che lo rendono perfetto per depurare l’organismo dopo un periodo di eccessi alimentari. La presenza di vitamina A, inoltre, favorisce il benessere della vista, mentre le vitamine del gruppo B combattono stanchezza e spossatezza.
Carciofo di Gerusalemme, rapa tedesca, ciapinabò
La caratteristica forse più curiosa di questo alimento sta nei tanti nomi che gli sono stati attribuiti nei luoghi in cui è diffuso: in Canada è noto come “girasole”, per l’evidente somiglianza con i fiori che hanno il capolino rivolto verso il sole; in Inghilterra è chiamato Jerusalem artichoke, “carciofo di Gerusalemme”, non perché abbia qualcosa a che fare con la città israeliana, ma probabilmente per una pronuncia errata del termine “girasole”. L’appellativo topinambur, invece, pare essere di origine portoghese: deriverebbe, infatti, da tupinamor, abbreviazione di “patata tupinamba”, alludendo all’uso che ne facevano gli europei dopo averlo importato dalle Americhe. È conosciuto pure come rapa tedesca, pera di terra, tartufo di canna, ciapinabò in Piemonte, patacca in Sicilia.