In uno degli ultimi episodi di Sex and the City, Carrie-Sarah Jessica Parker ad un aperitivo apprezza un tarallo comprato a Manhattan e l’amico che è con lei le suggerisce: “Dovresti andare a Napoli, ci sono i migliori taralli al mondo”.
È difficile affermare se i migliori siano i classici pugliesi, di cui la versione mignon (il tarallino) è la più diffusa al mondo, o quelli ‘nzogna e pepe napoletani; quello che è certo, però è che ce ne sono per tutti i gusti. Con il pepe, il peperoncino o il finocchietto; alla salvia, timo o maggiorana. Con la sugna o al burro; al formaggio, all’uovo o al vino; con le mandorle, le nocciole e le noci. Con o senza sale. Piccoli e grandi. Ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Ottimi per “spezzare” la fame o per un aperitivo, assieme ai grissini rappresentano una valida alternativa al pane a tavola per accompagnare un contorno o un secondo. Molto buoni con i salumi e i formaggi, si prestano per realizzare simpatici antipasti. Semplici da preparare anche in casa sono fatti con farina, acqua o vino e un pizzico di sale.
Tra gli snack più diffusi nelle vending machine e sugli aerei, sono uno “sfizio” da assaporare in qualunque momento della giornata. Ma questi fragranti anelli di pasta non lievitata rappresentano anche un pezzo importante della storia gastronomica del nostro Paese, in particolare di quella del Centro e del Sud Italia. La loro origine – o, per essere più precisi, le prime fonti certe – è datata al 1400, ma è molto probabile che non solo in Puglia, considerata la patria dei taralli, si producessero sin dall’antichità. Nel tempo a quelle salate si sono aggiunte diverse varianti dolci, ottenute aggiungendo all’impasto zucchero, vaniglia, uova o liquore.
Viaggio nell’Italia dei Taralli
Iniziamo allora un breve viaggio nello Stivale alla scoperta delle varietà di taralli più diffuse e gustose:
In Puglia
L’ingrediente caratterizzante del tarallino pugliese è l’olio extravergine d’oliva del Tavoliere. È in questa regione che hanno avuto origine i primi taralli, nati attorno al 1400 nelle case dei contadini, che impastavano farina, olio extravergine d’oliva, vino bianco e un pizzico di sale e li consumavano al posto del pane, donandoli anche ai vicini in segno di amicizia. Somigliavano al “daratos”, una sorta di pane diffusa in Grecia, da cui il termine “tarallo”. Lessati in acqua e poi cotti in forno, i taralli oggi vengono arricchiti con semi di sesamo, peperoncino, cipolla, finocchietto e sono immancabili negli apertivi e negli happy hour.
Particolari e pregiati i taralli neri con il vino cotto, un dolce natalizio diffuso nel foggiano, un’autentica golosità preparata – oltre che con il vino cotto – con zucchero, cioccolato fondente, mandorle tostate, scorza di limone e arancia grattugiate e chiodi di garofano e poi cotti direttamente in forno, senza prima essere bolliti.
In Campania
I taralli ’nzogna e pepe di Napoli hanno alle spalle una storia risalente alla fine del Settecento: fu in quell’epoca che i fornai partenopei, per utilizzare i ritagli dell’impasto del pane avanzato – e quindi con il lievito, a differenza di tutti gli altri tipi di taralli –, cominciarono ad aggiungervi il pepe e la sugna, a dargli la forma di una ciambellina e a cuocerli nel forno a legna, insieme alle pagnotte. Venduti per pochi spiccioli, sfamarono per anni le fasce più povere della società – la loro consistenza particolarmente calorica provocava infatti un immediato senso di sazietà.
Più tardi, qualcuno – ma non sappiamo di chi sia il merito – vi unì le mandorle e i taralli diventarono una presenza fissa nel menu delle osterie, accompagnati da un buon bicchiere di vino rosso. Nel tempo, invece, si sono trasformati in un vero e proprio street food, grazie alla figura del “tarallaro”, che batteva la città palmo a palmo con la sua cesta (la cosiddetta “sporta” in dialetto) piena di taralli appena sfornati. Oggi li ritroviamo nei chioschi del lungomare, a Mergellina, dove gli ambulanti li vendono non più con il vino ma con la birra ghiacciata.
Tipici di Agerola, comune dei Monti Lattari, sono i taralli realizzati con il “criscito” (il lievito madre), la farina, l’acqua e il sale, che vengono bolliti e poi passati in forno. Del diametro di circa dieci centimetri, grazie alle loro dimensioni e al sapore delicato sono l’ideale per accompagnare salumi e formaggi.
In Molise
Di colore ambrato, friabili e con uno spiccato aroma di finocchietto – l’ingrediente che li caratterizza –, i taralli molisani sono preparati lavorando farina di grano tenero con vino bianco secco, olio extravergine d’oliva, sale e, appunto, semi di finocchio. Come in Puglia, in Molise i taralli prima di essere cotti in forno vengono lessati in acqua e lasciati asciugare su un canovaccio.
Ad Agnone, un borgo di poco più di 1500 anime in provincia di Isernia, esiste anche una versione dolce, riportata nell’Almanacco del Molise del 1972, fatta con “farina cinquecento grammi, ben setacciata, circa duecento di zucchero fine, quattro uova di giornata, un etto e mezzo di sugna. Un bicchiere o due di anice; sale” e in seguito cotta come quella salata.
In Calabria
La Calabria è famosa soprattutto per i taralli dolci: impastati con farina, uova, strutto, olio, lievito di birra o lievito madre e semi di anice, vanno spennellati con l’uovo e poi infornati.
Tipici della regione sono anche gli “squadatieddri” o “scaldatelle”, salati, a base di farina, semola, acqua, olio extravergine d’oliva e semi di anice, scaldati e passati in forno.
In Basilicata
Fanno parte della tradizione pasticcera della Basilicata i taralli con il naspro, consumati soprattutto a Carnevale: l’impasto è simile a quello dei taralli dolci calabresi – con il liquore di anice al posto dei semi – ma quelli lucani, prima di essere cotti in forno, vengono appunto ricoperti con il naspro, una glassa a base di zucchero a velo, acqua e succo di limone.
Molto conosciuti pure i taralli dolci di Avigliano, prodotti nell’omonimo comune del potentino: l’impasto è ottenuto lavorando farina grano duro, olio d’oliva, un pizzico di sale, anice e un altro liquore a piacere (a scelta tra rum, brandy e vodka); lessati e poi passati in forno, una volta cotti vengono spolverizzati con zucchero semolato.