Roma non è solo “caput mundi” ma a ragione può essere considerata anche capitale mondiale del pane. È qui, nel 15 a.C., che fu aperto il primo negozio di pane, così come a Roma, nei pressi di Porta Maggiore, esiste – forse – l’unico monumento al mondo ai fornai, che riproduce l’impianto di produzione dell’impasto, una specie di torre formata da grandi vasi in cui si lasciava il pane a lievitare. I vasi sono disposti verticalmente e orizzontalmente, gli uni sugli altri; in cima al monumento c’è un’incisione che rappresenta le diverse operazioni per la produzione del pane, dal grano fino alla cottura. Ai piedi dell’opera, probabilmente un monumento funebre, c’è inciso il nome di Marcus Vergilius Eurysaces, il fornaio fornitore ufficiale di pane dell’imperatore.

Questo monumento potrebbe essere il punto di partenza di un viaggio nel tempo e nella storia di quello che è, senza alcun dubbio, il più antico e importante alimento per l’uomo, l’unico veramente universale. Un itinerario di turismo del pane, che idealmente potrebbe toccare diversi luoghi simbolo della città, dal Colosseo, a cui Giovenale rimanda la famosa frase “panem et circenses”, alla Basilica di San Pietro, dai Fori imperiali, sede di fornai e botteghe del pane, fino alla Basilica di Santa Maria in Cosmedin dove ancora oggi è possibile osservare le colonne della Statio Annonae (l’Annona), il servizio che gestiva l’approvvigionamento e la distribuzione di cibo e principalmente di grano e pane al popolo romano, incorporate nella chiesa. Il percorso passerebbe anche per la storica Via della Panetteria con il Palazzo omonimo; entrambi prendono il nome dalla Panetteria Apostolica, l’antico forno che produceva il pane per la famiglia pontificia che nel XVII secolo abitava nel Palazzo del Quirinale. In tempo di carestia da quello stesso forno, per volere del Papa, veniva distribuito il pane ai poveri. Il portone del Palazzo che ha visto uscire la maggior quantità di pane di tutta Roma, e che dava accesso al cortile dov’era ubicata la panetteria, oggi è murato. Non è mai stato più riaperto dalla notte fra il 5 ed il 6 maggio 1809, quando vi entrarono i francesi per arrestare Pio VII.

Pane

Questo viaggio si concluderebbe sicuramente da Panella, uno dei forni moderni, fondato nel 1929, che da quasi un secolo lavora al recupero della tradizione del pane. Segnalato come “The World’s Best Pâtisseries” nel 2012 dal National Geographic, Panella sforna ogni giorno più di 70 tipi diversi di pane, con particolare attenzione alla selezione delle materie prime e alla tradizione romana e italiana. Collocato tra due basiliche, la Basilica di San Giovanni in Laterano e la Basilica di Santa Maria Maggiore, è in una posizione da secoli crocevia di culture. Panella ci permette di fare un viaggio nel tempo proponendo i diversi tipi di pane presenti sulle tavole dei nostri antichi concittadini. Ogni giorno della settimana è possibile acquistarne uno diverso:

il lunedì è il giorno del Panis Farreus fatto con la farina del Triticum Dicoccum, oggi poco coltivato e generalmente seminato nelle regioni montuose (soprattutto in Abruzzo) per ricavarne il farro, con il quale si preparano minestre, lontane parenti delle pultes di farro dell’antichità;

il martedì si trova il Panis Nauticus che può essere definito la “galletta” dei marinai; li accompagnava durante i loro lunghi viaggi nel Mediterraneo, grazie a una composizione che lo rendeva adatto a conservarsi per lunghi periodi;

il mercoledì viene proposto il Panis Quadratus già descritto nel poemetto Moretum attribuito a Virgilio. Il nome deriva dall’usanza di praticare con il coltello sulla superficie quattro incisioni che lo dividevano in otto parti, chiamate dai Romani quadre. Pani di questo tipo sono stati anche trovati nelle botteghe dei fornai di Pompei;

il giovedì si vende il Panis Adipatus, simile alla pizza bianca, con un impasto arricchito da pezzi di lardo o pancetta;

il venerdì si continua con il Panis Militaris riservato ai soldati. Dalla tradizione orale si apprende che qualsiasi fosse il tipo di grano con il quale veniva fatto, questo tipo di pane pesava un terzo più del grano. Nel terzo secolo d.C. ne esistevano due tipi: quello mundus, fatto nelle città e distribuito alle truppe quando si trovavano nelle caserme, e quello castrensis, usato negli accampamenti, durante le campagne militari. Come il panis nauticus, aveva la caratteristica di conservarsi per lunghi periodi;

il sabato si chiude con la produzione del Panis Siligeneo Flore, un pane bianco fatto con la farina del Triticum Silicum, un grano tenero. Era considerato il miglior pane che si potesse trovare in commercio, quello preferito da Plinio il Vecchio.

Se inizialmente i Romani producevano essenzialmente tre qualità di pane in base al censo – il pan nero di farina stacciata rada destinato ai poveri, il panis secondarius (pane bianco) e il panis candidus o mundus fatto con farina finissima che veniva consumato principalmente dai ricchi – con il tempo la produzione si ampliò sempre di più, sia perché con l’espansione dell’Impero a Roma arrivavano nuove materie prime e i fornai ne sperimentavano l’uso, sia perché la cucina si evolveva e proponeva, come accade ancora oggi, nuovi abbinamenti.

I principali tipi di pane prodotti a Roma erano:
– il cibarius, un pane scuro poco costoso;
– il secondarius, fatto con farina integrale;
– l’autopyrus, un pane nero fatto con farina non setacciata;
– il siligeneus, pane bianco di grano tenero;
– il parthicus, un pane spugnoso;
– il furfureus, fatto con la crusca;
– il pane d’Alessandria, cotto con gli spiedi;
– il piceno, cotto in pentola di coccio che si rompe di fronte ai commensali;
– l’adipatus, pane condito con il lardo;
– il bucellatus, un pane biscottato;
– l’ostearus, fatto per accompagnare le ostriche.

All’antica Roma si deve anche il nome della farina che discende dalla “farrina”, il prodotto ottenuto dalla farina di farro.

Il Pane a Roma era così importante che l’organizzazione politica dell’Impero fu modulata sull’esigenza di rifornire di frumento la capitale e le legioni di stanza ai confini. Giovenale racchiuse l’importanza politica, sociale e culturale del pane in un’espressione, “panem et circenses”, passata alla storia come identificativa della città.

 

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