Le ultime settimane dell’inverno sono il periodo ideale per portare in tavola i “carciofi ritti”, una saporita ricetta livornese che si prepara con le mammole, una varietà di carciofi dalla forma grossa e tondeggiante, senza spine e dalla polpa tenera e carnosa, che fa la sua comparsa al mercato tra febbraio e marzo. “Ritti” e non fritti perché, privati del gambo e pareggiati alla base, riescono a mantenersi ‘in piedi’ all’interno della pentola. Farciti con un gustoso battuto di aglio, prezzemolo, mollica di pane e ‘carne secca’ – come è detta la pancetta nel dialetto toscano –, vengono stufati a fiamma dolce in un tegame coperto, con olio extravergine di oliva e un po’ acqua o di brodo vegetale, fino a quando diventano morbidi.
Ormai diffusi in tutta la regione, possono essere gustati nelle osterie e nei piccoli ristoranti che propongono la cucina di una volta: le trattorie di Livorno, Firenze, Pisa li servono come secondo piatto, accompagnati dall’immancabile pane sciocco, accanto ad altre ricette antiche della tradizione toscana come i fagioli all’uccelletto, l’ossobuco alla fiorentina (con salsa di pomodoro, vino rosso ed erbe aromatiche) o il peposo dell’Impruneta, uno spezzatino cotto con vino, poco pomodoro e molto pepe, da cui il nome. I toscani li cucinano pure con altri tipi di ripieno, per esempio con il lardo al posto della pancetta o con salsiccia fresca e funghi porcini.
La versione fiorentina
Anche Pellegrino Artusi, nella sua Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene (1891), ci ha lasciato la ricetta dei carciofi ritti, nella sezione dell’opera dedicata ad “Erbaggi e legumi”. La versione riportata dal famoso gastronomo non è livornese ma fiorentina ed è meno ricca, perché fatta senza carne secca e mollica: “Così chiamassi a Firenze i carciofi cucinati semplicemente nella seguente maniera – scrive – Levate loro soltanto le piccole e inutili foglie vicine al gambo tagliando quest’ultimo. Svettate col coltello la cima e allargate alquanto le foglie interne. Collocateli ritti in un tegame, insieme coi gambi sbucciati e interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto a buona misura. Fateli soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben rosolati, versate nel tegame un po’ d’acqua e con la medesima finite di cuocerli”.
Origini Ebraiche
I carciofi ritti somigliano molto ai celebri carciofi alla romana – da non confondere con quelli alla giudia, fritti a testa in giù in abbondante olio – ripieni di prezzemolo, aglio, mentuccia, pangrattato e cotti a fuoco lento in una pentola coperta con olio e poca acqua. La ricetta, nata nel ghetto ebraico di Roma, arrivò probabilmente in Toscana insieme agli Ebrei che, tra la fine del XVI e l’inizio del XIX secolo, si stabilirono a Livorno, occupando la zone del porto e dedicandosi al commercio.
La ricetta dei carciofi “ritti”
Per 4 persone
Ingredienti
4 carciofi abbastanza grossi
100 gr di pancetta
Uno spicchio d’aglio
Mollica di pane
Un ciuffo di prezzemolo
Olio extravergine di oliva
Sale e pepe q.b.
Procedimento
Pulite i carciofi: eliminate le foglie più esterne, più dure, il fieno interno e il gambo, pareggiandoli alla base per farli mantenere diritti e mettendoli in una ciotola con acqua e succo di limone per non farli annerire. I gambi tritateli finemente (togliendo la parte esterna) insieme all’aglio, alla mollica di pane, al prezzemolo e alla pancetta; completate con un filo d’olio, un pizzico di sale e di pepe.
Riempite i carciofi con il battuto preparato e sistemateli in piedi all’interno di una casseruola, con olio extravergine di oliva e mezzo bicchiere d’acqua. Coprite e fate cuocere a fuoco dolce, per circa mezz’ora, aggiungendo un altro po’ d’acqua se necessario, finché saranno diventati teneri. Serviteli tiepidi.