La “madre di tutti i semi” coltivata nella campagna toscana. Da oggi, accanto al cavolo nero, alle bietole e ai fagioli all’occhio ci sarà anche la quinoa. Il “supercibo delle Ande”, da millenni cardine dell’alimentazione dei popoli sudamericani, sarà messo a coltura in Val di Chiana, tra le ampie distese di granoturco, girasole e orzo, che caratterizzano da sempre la fiorente agricoltura della zona.
E così i suoi chicchi potranno essere utilizzati per arricchire piatti di verdure o zuppe, oppure, soprattutto nel periodo estivo, all’interno di fresche insalate, abbinati al tonno, alle uova sode e ai pomodorini, alla mozzarella e alle olive.
Negli ultimi anni, l’interesse del mondo occidentale verso questo pseudo-cereale – appartiene alla famiglia delle barbabietole e degli spinaci, ma è considerato un cereale per l’elevata quantità di amido e la forma dei chicchi – è cresciuto in maniera esponenziale e la richiesta di quinoa sul mercato internazionale (nell’ordine, in quello europeo, canadese e statunitense) è passata dai 2.4 milioni di tonnellate del 2001 ai 43.7 del 2011 (dati FAOSTAT diffusi dall’Università di Firenze). Questo fenomeno finora ha interessato il nostro Paese – dove i chicchi sono in vendita soltanto nei negozi biologici e nelle botteghe Altromercato – in maniera piuttosto marginale; eppure la quinoa, completamente priva di glutine, potrebbe aprire nuove frontiere per le esigenze alimentari dei celiaci e, alternata alle colture classiche, darebbe “una boccata di ossigeno” alle campagne del Centro Italia – è, infatti, un cereale “sostenibile” che richiede pochissime cure per crescere e non necessita di concimi costosi e grandi quantità d’acqua.
Ecco perché il Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DISPAA) dell’Università di Firenze sta studiando da tempo le virtù di questa pianta – insieme a quelle dell’amaranto, un altro “superfood” originario del Sud America – e la sua adattabilità ai terreni della Toscana. La coltivazione dei due pseudo-cereali andini è stata sperimentata con successo presso l’azienda agricola regionale di Cesa, una frazione di Marciano della Chiana (Arezzo), nel cuore della Val di Chiana, e il DISPAA ha illustrato i risultati di queste prove lo scorso 3 luglio, nel corso di “Superfood in Tuscany”, un incontro sul campo promosso in collaborazione con l’ente “Terre Regionali Toscane”, che si è svolto nel centro per il collaudo e il trasferimento del complesso aretino.
E ora, dopo i primi, incoraggianti tentativi, quinoa e amaranto saranno seminati in altre zone della Toscana, sia in pianura che in collina. “Anche se queste piante non sono destinate a sostituire nessuno dei grandi cereali – afferma Paolo Casini, direttore del progetto di ricerca dell’ateneo fiorentino – potrebbero rappresentare, inserite nella giusta filiera, un nuovo mercato che attualmente è soddisfatto soltanto da prodotti d’importazione”.
Incentivarne la produzione sul suolo nazionale, secondo i ricercatori del DISPAA, non porterebbe soltanto benefici alla nostra dieta, ma sarebbe una scelta responsabile per non danneggiare i Paesi produttori, come Perù e Bolivia: con l’incremento della domanda internazionale, infatti, “la quinoa ha raggiunto quotazioni molto elevate – si legge nella presentazione del progetto – che le popolazioni locali, soprattutto quelle urbane e suburbane, non possono più permettersi, con gravi ripercussioni sulla nutrizione soprattutto di bambini ed anziani, per i quali questo alimento è sempre stato alla base della loro dieta”. Per arrivare dal continente americano alle tavole europee, la merce affronta poi viaggi lunghissimi, che comportano elevati costi di trasporto e un forte impatto ambientale: un problema al quale si potrebbe ovviare con la coltura made in Italy, che permetterebbe di incentivare il consumo dei due superfood senza gravare sulla salute dell’ecosistema.