La storia di ogni singola forma di Quartirolo, come si racconta sul sito del Consorzio, “inizia tutte le mattine presto, molto presto; il menalatte (termine usato dagli addetti ai lavori per indicare l’autista che guida il camion del latte) parte dal Caseificio con il suo mezzo per recarsi nelle aziende agricole nella zona di origine di questo formaggio a ritirare il latte appena munto”. Ancora oggi si ripete l’antica consuetudine dei mandriani lombardi – chiamati bergamini – “di far soggiornare il bestiame in montagna durante i mesi estivi e di riportarlo più a valle poco prima dell’autunno, dove il clima è più clemente e i prati riescono a ancora vegetare, riuscendo a dare erba da foraggio anche a fine stagione”. Una caratteristica importante di questo formaggio è che il latte vaccino deriva – come recita il disciplinare – “da almeno due mungiture, di cui quella o quelle successive alla prima possono fornire latte intero o parzialmente scremato”.
Il latte viene lavorato nei caseifici secondo le indicazioni del disciplinare che ripropone le fasi che storicamente portavano alla produzione. Le forme, dopo aver perso tutto il siero residuo della lavorazione, vengono trasferite in ambienti controllati per temperatura ed umidità (la cosiddetta fase di stufatura), nei quali riposano fino ad un massimo di 24 ore. Durante questo tempo le forme vengono girate ripetutamente (almeno 4 o 5 volte) per poi essere marchiate con il caratteristico segno distintivo del formaggio e passare alla stagionatura, che dura da un minimo di 5 giorni per quello fresco ad un massimo di 30 per quello stagionato.
Un tempo prodotto di nicchia, oggi è diventato un formaggio di largo consumo tra quelli italiani più apprezzati. In Italia se ne arrivano a produrre anche 40.000 tonnellate. Fresco o stagionato si trova tutto l’anno, anche se quello autunnale ha un sapore più intenso.