Una focaccia alta circa un centimetro, particolarmente soffice grazie alla presenza dell’olio extravergine nell’impasto, ricoperta da un saporito sughetto di pomodori, acciughe, capperi, cipolle, origano e olive taggiasche.
È la “Pizzalandrea” ligure, una specialità diffusissima in tutta regione, che viene sfornata a ogni ora da forni e focaccerie e venduta come cibo di strada, oppure servita dai ristoranti come antipasto, tagliata a quadretti e accompagnata da un bicchiere di Vermentino Ligure.
A differenza delle altre schiacciate locali – la fugassa genovese con l’olio e la focaccia di Recco ripiena di formaggio cremoso, entrambe delicatissime – questa si caratterizza per il gusto davvero intenso, dato dalle olive taggiasche, leggermente amare, dalle acciughe e dai capperi, molto sapidi, e dall’aglio ‘vestito’, che rilascia il suo penetrante aroma e poi viene tolto dopo la cottura. Il suo carattere forte negli anni passati ha conquistato anche gli eterni rivali Gino Bartali e Fausto Coppi: terminata la Milano-Sanremo, i due campioni avevano l’abitudine di fermarsi insieme nella Città dei Fiori, per ritemprarsi dalle fatiche della gara con una fumante e profumata fetta della squisita pizza.
La pissaladrea è originaria di Oneglia (Imperia), città natale di Andrea Doria: secondo una curiosa leggenda fu l’ammiraglio in persona ad inventarla – da cui il nome –, nel XVI secolo. Secondo un’altra spiegazione, più verosimile, questa specialità fu importata in Liguria alla fine del ‘400 dalla vicina Provenza, la patria della pissaladière, la focaccia condita con olive di Nizza e peis salat, una pasta di acciughe sotto sale, aglio e timo; il nobile condottiero era golosissimo della specialità francese, che in suo onore fu ribattezzata “pizza all’Andrea”. Le prime ricette, come quella provenzale, erano senza pomodoro, che fu aggiunto soltanto nel XIX secolo.
Nel passaggio da una località all’altra della Riviera ligure, la pizzalandrea è diventata in “pisciadela” a Ventimiglia, “pisadala” a Bordighera, “piscadra” a Pigna. Leggermente diversa la versione di Apricale, la “macchettusa”, guarnita con una salsa di acciughe e sardine pestate nel mortaio con olio e sale grosso (il cosiddetto machetto), e quella sanremese, detta “sardenaira” perché tradizionalmente condita con le sarde fresche e con una minore quantità di cipolle.