
Uova intere sgusciate su fette di pane fritte nel burro – che fuori diventano dorate mantenendosi soffici all’interno –, servite con brodo di carne bollente e abbondante grana padano grattugiato. È la zuppa alla pavese, un’antica ricetta che arriva dalle campagne dell’Oltrepò, dove si ritiene sia nata agli inizi del XVI secolo. La consuetudine è di portarla in tavola all’interno delle classiche terrine di coccio monoporzione, con uno o due manici, come facevano i contadini negli anni passati.
Per cucinarla è indispensabile che le uova siano freschissime: se l’albume, infatti, con il brodo caldo si rapprende, cuocendo leggermente, il tuorlo deve invece rimanere crudo e morbido. Nella ricetta originale non doveva esserci certamente il brodo di carne – che era un cibo di lusso – ma quello vegetale, preparato con la borragine, un’erba selvatica che cresce spontaneamente.
Questo piatto compariva spesso nelle abitazioni più umili, dove le uova, nutrienti ed economiche, erano un alimento privilegiato. Eppure attorno a esso ruota una curiosa leggenda che gli attribuisce origini ‘nobili’, risalenti all’inverno del 1525, quando le truppe di Francesco I di Valois furono duramente sconfitte dagli spagnoli di Carlo V nel corso della battaglia di Pavia: si narra che il sovrano francese, vagando in cerca di un rifugio tra le campagne lombarde, fu accolto da una contadina, che per sfamarlo ‘inventò’ una zuppa con i pochi ingredienti che aveva in dispensa, pane raffermo, uova e brodo di borragine. Il re gradì a tal punto la pietanza che in seguito questa varcò la soglia della corte di Francia.
Al di là del racconto tradizionale, il connubio tra uova e brodo, presente da tempi lontanissimi nelle cucine povere, proprio in epoca rinascimentale cominciò ad essere apprezzato anche nelle dimore ricche, in diverse parti d’Italia: in tal caso lo scopo del tuorlo non quello di era garantire il giusto nutrimento ai commensali, ma semplicemente di regalare densità e sapore a preparazioni troppo liquide. Un’usanza testimoniata anche da noti cuochi del ‘500 come Bartolomeo Scappi, che cucinò per i papi Paolo III e Pio V, e Cristoforo da Messisbugo, che lavorò invece alla corte degli Estensi di Ferrara. Quest’ultimo, in particolare, nella sua opera Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande (1557), riporta la ricetta di una minestra di riso (o farro) e brodo “grasso” (vale a dire di carne), resa più corposa da uova sbattute e “formaggio duro grattato” e insaporita con molte spezie (zafferano, cannella, pepe), secondo il costume dell’epoca.
La ricetta
La ricetta
Ingredienti per 6 persone
12 fette di pane
120 gr di burro
12 uova
60 gr di grana padano grattugiato
1,5 l di brodo di carne
Procedimento
In una pentola dai bordi alti mettete a scaldare il brodo. In una padella friggete le fette di pane nel burro, facendole rimanere morbide all’interno. All’interno di ogni scodella disponete due fette di pane, sgusciatevi due uova – facendo attenzione a non rompere i tuorli –, versatevi sopra il brodo bollente e completate con una spolverata di grana padano.