Visitare la prima Capitale d’Italia tra Natale e Capodanno significa, naturalmente, assaggiare le raffinate specialità regionali dedicate alle feste: piatti ricchi di storia e di contaminazioni, in cui si incontrano la tradizione povera dei contadini che abitavano zone le Langhe e il Monferrato e le influenze nobili provenienti dalle cucine di casa Savoia. Come l’insalata russa, che ebbe origine a metà Ottocento proprio nella dimora sabauda, in occasione della visita di una delegazione russa a Torino, mescolando la giardiniera piemontese (ortaggi tagliati a pezzetti e lessati in acqua e aceto) con la maionese della Francia. O la bagna càuda, la famosa salsa piemontese a base di olio extravergine d’oliva, aglio e acciughe, in cui intingono ortaggi crudi, come carote, peperoni, cardi e finocchi, nata anch’essa durante l’epoca savoiarda, quando veniva preparata con le alici salate raccolte nelle saline della Provenza. Tra gli antipasti non può mancare, ancora, il flan di cardi, un delicato tortino di uova, formaggio grattugiato e burro, in cui l’ingrediente protagonista è il Cardo Gobbo di Monferrato, dalla forma simile ad un uncino.
Il pranzo del 25 dicembre prosegue con un piatto che fu ideato dalle massaie delle Langhe: gli agnolotti del plin – termine dialettale che indica il “pizzicotto” necessario per chiudere la sfoglia –, ripieni di vitello, maiale e coniglio e conditi con il sugo dei tre tipi di carne impiegati per la farcitura, o in alternativa con i tajarin (sottilissime tagliatelle all’uovo) con il prezioso tartufo bianco di Alba. E poi con due secondi degni della tavola di un re: il brasato al Barolo, uno stufato di manzo – per cucinarlo si utilizza la razza fassona locale –, che viene prima marinato per giorni e poi cotto a lungo nell’omonimo vino, fin quando la carne raggiunge una consistenza tenerissima, e il sontuoso bollito misto alla piemontese, composto da tagli pregiati di manzo (scaramella, punta di petto, fiocco di punta, cappello da prete, noce, tenerone e culatta) e frattaglie di maiale (lingua, zampa, cotechino), che vengono cotti in acqua bollente, erbe aromatiche e spezie. Da quasi due secoli il condimento per eccellenza di questo piatto è il bagnetto verde, la celebre salsa fatta con acciughe, prezzemolo, rossi d’uovo sodo e mollica di pane, pestati nel mortaio e amalgamati con olio extravergine di oliva, che fu preparata per la prima volta dal cuoco Giovanni Vialardi – che lavorò prima per Carlo Alberto e poi per Vittorio Emanuele II di Savoia – nella prima metà del XIX secolo. Ma il bagnet verd non è l’unica salsa che si accompagna al bollito: accanto a questa ce ne sono almeno altre tre, ovvero la saporitissima salsa rubra o bagnet rus (a base di pomodori cotti con peperoni, sedano, carote, aglio e cipolle, emulsionata con olio d’oliva e aromatizzata con alloro, prezzemolo, basilico, salvia, cannella, peperoncino e senape in polvere), la salsa verde di prezzemolo, capperi e acciughe e la cognà, dal gusto dolce, una sorta di marmellata fatta con diversi di tipi di frutta fresca e secca (uva, nocciole, noci, pere, mele cotogne, fichi secchi, albicocche secche) cotti con chiodi di garofano, cannella e zucchero, servita anche con i formaggi e la polenta.



E per finire in dolcezza il torrone di Alba, che non è tipicamente torinese ma a Natale è presente in tutta la regione, fatto con le pregiate Nocciole del Piemonte IGP, e una fetta di Panettone basso di Pinerolo, nato negli anni Venti del secolo scorso in una pasticceria della città in provincia di Torino, ricoperto da una golosa glassa di crema di nocciole.