“…L’oste guercio e bolognese, imitando di Venere il bellico e con capponi e starne e quel buon vino l’arte di fare il tortellino apprese…”: così il poeta bolognese Giuseppe Ceri, nell’800, ispirandosi alla eterna disfida tra modenesi e bolognesi cantata da Alessandro Tassoni in quel capolavoro che è La Secchia rapita del 1624, descrisse la nascita del tortellino.

Disfida, quella tra le due città emiliane, che va avanti dal Quattrocento e si è ripetuta anche quest’anno a Bologna, dove, in piazza de Mello, è andata in scena la seconda edizione del Festival del Tortellino Tortellini al brodoche ha messo di fronte gli chef bolognesi dell’Associazione TOur-tlen e i ristoratori e produttori della Società di San Nicola di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena.

Secondo la leggenda il delizioso tourtelen, come è chiamato in dialetto, è nato dal più classico tra i gesti goliardici di un uomo: sbirciare una donna dal buco della serratura! Nel caso dell’oste narrato da Ceri la tentazione era ancor più forte perché dall’altra parte c’era niente di meno che Venere, che si era fermata a riposarsi presso la sua locanda di Castelfranco dove era giunta con Bacco e Marte per dar man forte ai modenesi nella disputa con i bolognesi. Conquistato dal ventre della Dea della bellezza l’oste decise di riprodurne l’ombelico con la sfoglia per la pasta che stava preparando.

Ceri non fa riferimento al periodo in cui avvenne il fatto, ma doveva essere molto indietro nel tempo dal momento che già nel XII secolo il Cervellati parla di “tortellorum ad Natale”. In quello stesso periodo erano già noti anche i “cappelletti”, tipici di Reggio Emilia, non molto dissimili, almeno nella forma, dai tortellini. Altre tracce dell’origine si trovano in un libro di ricette trecentesche che parla di “torteleti de enula”, un’erba caratteristica del territorio. Una ricetta simile, “la minestra dei torteleti” è citata nel “Diario del Senato” della città di Bologna, dove si parla del menù dei festeggiamenti per l’insediamento dei nuovi tribuni. Da allora le citazioni (e le ricette) si sprecano anche se non sono mai riuscite a mettere fine al dibattito sulla paternità.

Dunque, in principio furono i cappelletti, poi vennero i torteleti, da cui discendono i tortellini, infine i tortelloni. Quest’ultimi, lo diciamo subito, più grandi, differiscono nel ripieno che è rigorosamente di ricotta e formaggio.

Una cosa è certa. La sfoglia, sin dal Medioevo, è sempre la stessa, fatta con uova e farina (1 uovo ogni 100 grammi), quello che cambia è il ripieno e la cottura. Un tempo affidati alle mani sapienti delle “sfogline”, le donne di mezza età, chiamate “zdoura” in dialetto, che si tramandano da generazioni l’arte di preparare e stendere la pasta fresca per lasagne, tagliatelle e tortellini.

Così come sulla nascita anche sulla ricetta originale c’è una forte disputa tra Modena e Bologna. Nella città di San Petronio la ricetta e il mantenimento della tradizione sono tutelati dalla Dotta confraternita del tortellino, che è depositaria, dal 7 dicembre 1974, della ricetta riconosciuta dalla Camera di Commercio; a Castelfranco il compito è affidato alla Società di San Nicola. Dunque due ricette diverse. Se entrambe concordano sull’uso del Parmigiano reggiano, secondo gli artigiani della città delle Torri il ripieno deve essere rigorosamente di maiale (Lombo, prosciutto e mortadella). Per quelli modenesi se non è di manzo e maiale non può chiamarsi tortellino. Disaccordo anche sulla cottura: brodo solo di Cappone per i modenesi, manzo e cappone per quelli di Castelfranco e i bolognesi. Tutti concordano che vanno serviti in tazza, secondo la tradizionale medievale, che consente di mantenere caldo il brodo.

Infine la forma. Il tortellino deve essere “piccolo e perfetto”… come l’ombelico di Venere!

 

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