Un dolce dalla sfoglia sottile e leggera, che racchiude uno squisito ripieno di noci, miele, scorza di arancia e noce moscata. Lo “sfratto” dei Goym è una specialità di borghi di Pitigliano e Sorano (Grosseto), nel cuore della Maremma toscana, dove viene gustato soprattutto nel periodo natalizio, tagliato a fettine. Meno famoso di panpepato, cantucci, ricciarelli e buccellato, non ha nulla da invidiare alle più famose bontà della pasticceria regionale.
Questo biscotto lungo 20-30 centimetri, la cui forma ricorda quella di un piccolo bastone, racconta la storia dell’integrazione tra due culture profondamente diverse, la maremmana e quella ebraica. Nel XVI secolo, per sfuggire alle persecuzioni del granduca Cosimo II de’ Medici, che intendeva rinchiuderli nei ghetti di Roma, Ancona, Firenze e Siena, gli ebrei che abitavano nel centro Italia si rifugiarono nelle zone di confine della Toscana. A Pitigliano la comunità ebraica iniziò una pacifica convivenza con gli abitanti del posto, tanto che col tempo il comune del grossetano prese l’appellativo di “Piccola Gerusalemme”, per la presenza della Sinagoga (poi chiusa nel 1960), di svariate botteghe artigiane e del cosiddetto “forno delle azzime”, dove veniva impastato e cotto il pane non lievitato.
Dal felice incontro tra le cucine dei due popoli ebbero origine diversi piatti, come la “tegamata”, uno stufato di carne di manzo, pomodoro e patate, la “minestra di lenticchie di Esaù”, che ricorda una ricetta menzionata nell’Antico Testamento, il risotto con i carciofi e lo sfratto dei Goym (termine che vuol dire “coloro che non sono ebrei”), nato per ricordare il momento in cui i giudei venivano cacciati dalle proprie abitazioni da un messo del granduca, che con un bastone – chiamato, appunto, sfratto – batteva sulla porta delle case intimando agli abitanti di lasciarle. In questo dolce trovarono spazio elementi della tradizione gastronomica ebraica, per esempio l’assenza del lievito nell’impasto, ed altri tipici della pasticceria toscana, come il miele e le noci.
Oggi a Pitigliano tre soli produttori preparano lo sfratto – la bottega “Delizie di Ale e Helga” di Alessandro Carboni, scavata nel tufo, il “Forno del Ghetto” di Francesca Ladu e la Pasticceria di Massimo e Marco Uliveri – e il goloso dolce è tutelato dal Presidio Slow Food, che valorizza questo prezioso esempio di contaminazione culinaria e culturale.