CoriandoloLa forma delle foglie ricorda molto quella del prezzemolo, ma il sapore – così come l’odore, davvero particolare – è molto più “pungente”.

Diffusissimo alla mensa degli antichi romani, proprio per il suo carattere forte il coriandolo col tempo ha perso terreno nelle cucine della Penisola, mentre ha conquistato quelle della Cina – non a caso è soprannominato “prezzemolo cinese” –, dell’India e dei paesi vicini, dove è alla base di tanti, piccantissimi piatti.

Da qualche tempo, però, grazie alla tendenza sempre più diffusa di portare in tavola un pizzico di Oriente, sta lentamente riconquistando i palati degli italiani.

L’uso in cucina

I semi sono dotati di un sapore intenso, con note agrumate, ma molto meno piccante di quello delle foglie, e vengono utilizzati per preparare diverse specialità gastronomiche italiane. Alcuni salumifici artigianali, ad esempio, li aggiungono alla mortadella, mentre nel comune di Monte San Biagio (Latina), aromatizzano una famosa salsiccia locale, insieme a peperoncino, peperone rosso dolce, sale e vino Moscato di Terracina.

Panforte di SienaCon cannella, chiodi di garofano e noce moscata li ritroviamo, ancora, nel panforte di Siena, celebre dolce natalizio a base di frutta secca, cedro e miele.

Dai semi macinati si ottiene la polvere di coriandolo, che in Oriente è protagonista del curry (un mix di ben dieci erbe, quali cumino, coriandolo, curcuma, cardamomo, cannella, anice, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano, pepe e peperoncino) e del garam masala, una mistura di spezie tipica della cucina pakistana e indiana – viene aggiunta al pollo, ai piatti di carne e ai samosa, i famosi fagottini ripieni di carne o verdure e venduti come street food. Utilizzata da sola, la polvere ha un sapore meno “esplosivo” ed è perfetta per dare un tocco esotico – ma senza esagerare – allo spezzatino o al pesce al forno.

Le foglie, invece, a causa del loro odore così singolare sono ancora poco diffuse nella gastronomia della Penisola; in quella orientale e nordafricana invece arricchiscono piatti di riso e carne, zuppe – ad esempio quella cinese con cavolo e zenzero – e insalate – come quella con patate dolci e zenzero, tipica dell’Egitto, o con pomodori, cipolle e uova sode, che arriva dall’Algeria. Vengono poi impiegate per preparare il chutney, una grande “famiglia” di salse tipiche dell’India e del Sud-Est asiatico, a base di coriandolo fresco, peperoncino e altri ingredienti variabili (succo di limone, aglio, cumino, zucchero, tamarindo, menta).

Il coriandolo conquista i terreni del Belpaese

Negli ultimi dieci anni la coltivazione di questa pianta in Italia ha avuto un vero e proprio exploit: secondo i dati diffusi da Assosementi, gli ettari seminati a coriandolo sono passati dal 700 del 2004 ai 10mila del 2014 e nelle prossime stagioni sono previsti ulteriori incrementi. L’aumento si è verificato soprattutto tra le regioni del Centro-Nord (Emilia Romagna, Marche, Umbria), ma anche in Puglia, “grazie agli importanti investimenti realizzati dalle nostre aziende sementiere nella logistica e in impianti di lavorazione all’avanguardia”, come chiarisce Assosementi. Tuttavia, più del 90 per cento della produzione è destinata al mercato estero, in particolare a quello asiatico, dove il raccolto made in Italy è particolarmente apprezzato.

Nonostante il boom nelle campagne della Penisola, le foglie di coriandolo fresco sono ancora poco reperibili sul mercato – difficilmente le troveremo al banco di ortofrutta tra prezzemolo e sedano. Vivai e siti specializzati vendono però le piantine, che amano il sole e i terreni non troppo umidi, oppure i semi, da piantare facilmente sul proprio balcone, in qualunque periodo dell’anno. Molto più diffusa la polvere, ormai disponibile in tutti i supermercati, negli scaffali dedicati alle spezie.

Un po’ di storia

Originario del Medio Oriente e del Nord Africa, da dove si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo e in Asia, il coriandolo ha alle spalle almeno cinquemila anni di storia. Già utilizzato da egiziani – come offerta rituale agli dei – e dai micenei, era molto apprezzato anche in epoca romana: Apicio, ad esempio, che dava grande importanza ai condimenti, ne fece la base di un intingolo chiamato appunto Coriandratum. Gli antichi non lo impiegavano soltanto per condire il cibo, ma gli attribuivano anche poteri medicinali: Plinio il Vecchio lo riteneva un rimedio per il mal di testa e nella Naturalis Historia suggeriva di dormire con alcuni semi per assicurarsi un piacevole risveglio. In epoca medievale era considerato persino un farmaco portentoso per guarire la peste e l’epilessia e per rendere indolore il parto.

Ancora oggi, la popolazione Tamil dello Sri Lanka con i semi prepara un decotto che calma la tosse. Nella medicina erboristica all’infuso di coriandolo, che ha un sapore molto gradevole, sono attribuite virtù digestive e antispasmodiche, utili per placare l’emicrania e i dolori addominali.

Una curiosità. I coriandoli, i pezzetti di carta colorata immancabili a Carnevale e nelle feste dei bambini, prendono il nome proprio da questa erba aromatica: fino all’epoca rinascimentale, infatti, alle persone mascherate durante le sfilate carnevalesche – e agli sposi in occasione dei matrimoni – si lanciavano semi di coriandolo ricoperti di zucchero, che col tempo furono soppiantati prima da palline di carta e poi dai moderni coriandoli.

 

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