Una pietanza nata nella Venezia del Trecento che, come molti piatti poveri della tradizione gastronomica italiana, è arrivata ai giorni nostri mantenendo intatto il suo fascino. Le sarde in saòr – fritte e condite con cipolle stufate, aceto, uvetta e pinoli – hanno alle spalle una lunga storia: all’epoca della Serenissima i marinai preparavano il saòr – che in dialetto veneto significa “sapore”, indicando già dal nome un gusto particolarmente deciso – per condire il pesce fritto, durante gli interminabili mesi trascorsi lontano da casa. Se l’aceto garantiva una lunga conservazione del pesce, la cipolla, un antibatterico naturale, proteggeva i naviganti dal rischio di infezioni.
Le sarde erano l’alimento più diffuso a bordo, in virtù del loro prezzo contenuto – una caratteristica tuttora peculiare del pesce azzurro, che figura tra i cibi più consumati e consigliati dai nutrizionisti per le sue proprietà salutari; alle tavole dei nobili, invece, il saòr era unito alle costose sogliole, per un risultato più delicato.
L’utilizzo di tale condimento è documentato da un prezioso manoscritto medievale, il Libro per cuoco o Anonimo Veneziano, un ricettario del 1300 contenente una serie di preparazioni ancora presenti nella cucina veneta, stampato nel 1899 e giunto a noi con il titolo di Libro di cucina del secolo XIV: l’autore suggerisce di friggere il “pesse” in “bono olio” e di aggiungere poi uva passa, aceto e “cepola”. Sebbene il saòr si sposasse bene con vari tipi di pesce, nei secoli la sua fama si è legata soprattutto alle sarde, come testimonia Carlo Goldoni, grande estimatore del piatto, nella commedia Le donne di casa soa: “Un poche de sardelle vorria mandar a tor, per cusinarle subito, e metterle in saor”.
Oggi le sarde in saòr costituiscono un gustosissimo antipasto, ma sono anche lo street food tipico di Venezia: nelle osterie – i cosiddetti bacàri – della città, infatti, è possibile acquistarle per pochi euro nel famoso “cicchetto”, uno stuzzichino composto da assaggi di pesce o salumi serviti su un pezzo di pane, accompagnato dall’immancabile “ombra”, il bicchiere di vino, chiamato così perché i mercanti in passato ponevano gli orci all’ombra del campanile di San Marco, per tenere fresco il vino. Il cicchetto di mare può racchiudere, oltre alle sarde, baccalà mantecato, vongole e moscardini. Di questa prelibatezza parla inoltre Stanislao Porzio nel volume Cibi di strada. Italia del nord, Toscana, Umbria, Marche, del 2008.