stufato di agnelloÈ una pietanza dal gusto unico e importante l’agnello “a cutturiedde” o alla “pignata”, uno dei protagonisti del ricco pranzo natalizio pugliese.

Diffuso in diversi comuni dell’entroterra barese – Altamura, Gravina, Corato, Bitonto, Santeramo in Colle – e nel tarantino, il 25 dicembre condivide la tavola con altre specialità locali famose in tutta Italia, come la morbidissima focaccia di Bari con i pomodorini o i panzerotti fritti ripieni di pomodoro, mozzarella e ricotta – serviti come antipasto –, le orecchiette con le cime di rapa o i cavatelli con i frutti di mare e le prelibatezze dolci, come pettole (frittelle zuccherate) e porcedduzzi (frittelline ricoperte di miele).

Nel goloso stufato si incontrano tre ingredienti dal carattere forte: l’agnello, saporito e aromatico, le “cicorielle” o altre erbe selvatiche, piacevolmente amare, e il pecorino che, aggiunto in dosi generose durante la cottura, si scioglie formando un’irresistibile cremina. Perché il risultato finale sia eccellente, poi, un elemento da non trascurare è la scelta del tegame: la tradizione vuole che ad accogliere carne e verdura sia la “pignatta” – chiamata pure “pignata” o “cottora” in dialetto, da cui il nome dato al piatto –, una grossa pentola di coccio, negli anni passati presente in tutte le case dei contadini, che la utilizzavano per cucinare le minestre di legumi sul fuoco del camino. La terracotta garantisce una distribuzione uniforme del calore ed è in grado di mantenere una temperatura costante, tenendo in caldo gli alimenti a lungo.

Per scoprire le origini del piatto dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, all’epoca in cui il territorio dell’Alta Murgia era abitato prevalentemente da pastori, che trascorrevano intere giornate a pascolare le greggi nei boschi. Le pecore anziane o quelle azzoppate, che non potevano proseguire il cammino, venivano macellate e cotte con le erbe e le piante che questa terra, aspra e generosa, offriva in abbondanza: cicoria, funghi cardoncelli, finocchietto selvatico, lampascioni (cipolle selvatiche), aromi come timo, prezzemolo e rosmarino. Talvolta le massaie univano qualche pezzetto di formaggio o una cotica di maiale e cuocevano il tutto per cinque o sei ore, necessarie per rendere morbida la dura carne ovina. Con il passare degli anni poi, la pecora fu sostituita dall’agnellone o dall’agnello, facilmente reperibile, dal gusto meno forte e gradito ad un numero più alto di palati.

Ritroviamo l’agnello a cutturiedde anche tra le ricette tipiche della Basilicata – in particolare, della provincia di Matera, al confine con la Puglia – ma con alcune varianti: i lucani, infatti, lo preparano con le patate, insaporendolo con qualche foglia di alloro e peperoncino fresco.

La ricetta dell’Agnello “a cutturiedde”

Per 4 persone

Ingredienti

1 kg di agnello
400 gr di pomodori pelati o freschi
Una cipolla
1 kg di cicorielle di campo pulite e lavate
100 gr di pecorino grattugiato
Olio extravergine di oliva
Prezzemolo
Sale e pepe q.b.

Procedimento

In un tegame capiente mettete l’olio, la cipolla tagliata finemente, i pomodori, il prezzemolo, il sale, il pepe, l’agnello tagliato a pezzi non troppo piccoli e abbondante acqua. Portate a bollore, abbassate la fiamma e fate cuocere. Dopo circa mezz’ora unite le cicorielle e il pecorino. Fate cuocere per un’ora tenendo il tegame coperto. Servite caldissimo.

 

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