di Giuseppe Rovera – Presidente ANSISA e Giovanni Orlando – Specialisti in Scienza dell’Alimentazione

Secondo Jean Bottéro, studioso di fama, la cucina assira è «la più antica cucina del mondo». Una delle ricette alle quali ci rimanda (II millennio a.C.) ha un suo nome che, in accadico è mersu, mentre in sumero è ninda. Un dolce sui generis, con sapori dai contrasti forti e netti che veniva preparato  all’interno di una marmitta di terracotta impastando laboriosamente farina con acqua (meglio se con latte o birra), olio o burro per ammorbidire, a volte anche miele. L’impasto, aromatizzato con nigella, cumino, coriandolo e aglio e successivamente farcito con frutta secca – uva, fichi, mele, datteri e pistacchi – lo si cuoceva in forno. alimentazione nell'antica greciaQuesto è un accenno di come doveva essere la cucina nata dal crogiuolo culturale per eccellenza, la Mesopotamia. I primi vagiti di una gastronomia già da allora per élite raffinate e pronte a sperimentare.

Che il percorso ed i rapporti con la gastronomia e con il cibo in genere, non siano stati lineari e che ripensamenti e riflessioni si siano succeduti, ci viene sottolineato da alcuni suggerimenti provenienti dall’antico Egitto, iscrizioni su papiri: “Non ti abbuffare di cibo: chi lo fa avrà la vita abbreviata”, oppure E’ gran lode dell’uomo saggio contenersi nel mangiare”, o infineE’ meglio stentare dalla fame che morire d’indigestione”.

Omero descrive, nelle sue Iliade e Odissea, banchetti sontuosi per la fama dei suoi commensali ma semplici nella loro lineare composizione gastronomica: arrosti, ortaggi, frutta fresca e secca. E se quella era la tavola degli eletti, quella popolare era logicamente ancora più essenziale e parca. Unica, per frugalità, era l’alimentazione a Sparta, dove dominava il “brodo nero” fatto di carne, sangue e aceto, servito nella mensa comune e sempre volutamente scarso. Tanto è vero che i ragazzi dell’Agoghè erano perennemente alla ricerca di cibo da “rubare” per soddisfare una fame mai doma. Qui anche il vino non era, volutamente, di eccelsa qualità per non indugiare troppo nel bere e diventare succubi di un vizio degenere.

Sia chiaro, ad Atene non è che le cose andassero molto meglio, se il pane di frumento, artòs, era condotto in tavola alla stregua di un dolce. Più popolarmente andava “di moda” la màza di farina d’orzo, una piadina non lievitata. Certamente più ricca di quella Spartana, visto che prevedeva arrosti, zuppe, intingoli dolci ed agri, ma nel complesso semplice e mai elaborata. Eppure, qui nacque una prima divisione del tempo dedicato al cibo come cornice del convivio, dividendo il deipnon (cena) dal Simpòsion (dopo cena – convivio). A differenza della prima, la seconda parte, pur prevedendo stuzzichini volgeva più che altro l’attenzione al vino diluito ed alla conversazione più o meno aulica.

 

Autori

Giuseppe Rovera

Medico, Presidente dell’ ANSISA (Associazione Nazionale degli Specialisti in Scienza dell’Alimentazione)

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Giovanni Orlando

Medico, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, associato ANSISA.

 

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