Oggi sono il più diffuso e gettonato cibo di strada abruzzese, da assaggiare nelle sagre che animano le estati dei borghi più caratteristici della regione, ma da gustare anche a casa. Ieri costituivano il pranzo dei pastori, che dall’Italia Centrale si incamminavano verso il Meridione per far pascolare le greggi durante i mesi invernali.
Gli arrosticini, piccoli spiedini di carne di pecora tra i simboli della cucina dell’Abruzzo, nacquero alla fine dell’800 tra i comuni di Carpineto della Nora, Civitella Casanova e Villa Celiera, in provincia di Pescara, una zona alle pendici del Gran Sasso storicamente nota per l’allevamento di pecore e agnelli. Nel periodo della transumanza – la migrazione stagionale che per secoli portò i mandriani abruzzesi e molisani a cercare pascoli nel Tavoliere delle Puglie – i pastori ne consumavano in grandi quantità, preparandoli con gli scarti del bestiame. In quell’epoca nacquero anche altri piatti importanti, come la pecora alla cottora o alla callara (chiamate così rispettivamente nell’aquilano e nel teramano), in cui la carne era cotta a lungo in un paiolo con acqua, erbe aromatiche e peperoncino, e la molisana pezzata di Capracotta, simile alla ricetta abruzzese, ma con l’aggiunta di patate e qualche pomodorino.
Ancora oggi la preparazione degli arrosticini è la stessa di oltre cento anni fa, ma la carne utilizzata non è quella di scarto, anzi, per realizzarli vengono impiegate le parti migliori della pecora e del castrato. Privata dei tendini e delle cartilagini, questa viene tagliata a pezzi piccolissimi e quadrati (circa un centimetro per lato) e infilzata dentro lunghi spiedini di legno, detti “cippetti” in dialetto, alternando tre pezzetti di magro e due di grasso – necessari per rendere il “rustello”, l’altro nome con cui è noto l’arrosticino, morbido e succoso al punto giusto.
Lo spiedino – che deve avere un peso di 35-40 grammi – viene poi cotto sulla “furnacella” o “rustellara”, un braciere dalla forma stretta e allungata alimentato con una brace di carbone o di legno di quercia. Va mangiato caldissimo accompagnato da pane casareccio condito con un filo d’olio extravergine d’oliva.
Dal 2012 l’autentico rustello è tutelato dal marchio “Buongusto – Arrosticino d’Abruzzo”, che vigila sul processo di produzione e sulle carni impiegate, difendendo questo storico spiedino dalle numerose imitazioni fatte con carne di pollo, maiale, oppure proveniente da allevamenti fuori dai confini abruzzesi o addirittura stranieri.
I rustelli, uno dei piatti più rappresentativi della tradizione, oggi si trovano pressoché in tutti i ristoranti regionali così come in gastronomie, pub e chioschi dove vengono venduti come streetfood. Non si contano le sagre “dell’arrosticino” che, tra luglio e agosto, si svolgono nei piccoli paesi delle province di Chieti, Teramo e L’Aquila. Tra queste valgono una visita le sagre di Cupello (Chieti), il secondo sabato di luglio; di Acciano (L’Aquila), un borgo di appena 399 abitanti, l’ultimo weekend di luglio; di Canosa Sannina (Chieti), l’ultima settimana di luglio; di Atri (Teramo), nei primi dieci giorni di agosto; di Torricella Peligna (Chieti), il 10 agosto.
La ricetta
La ricetta
Ingredienti per quattro persone
600 gr di carne di pecora o castrato (di cui circa 100 gr di grasso)
Olio extravergine d’oliva
Sale
Procedimento
Tagliate la carne a piccoli pezzi quadrati, di circa un centimetro per lato, e infilate i pezzetti negli spiedini di legno, alternando tre di magro a due di grasso. Salate gli arrosticini e cuoceteli sulla brace, girandoli un paio di volte. Alla fine ungeteli con un filo d’olio.