Alla romana, alla milanese, alla fiorentina, alla napoletana, alla bolognese, ma anche alla francese, la famosa Andouillette. Quando si parla di trippa, che, da secoli, si consuma cruda o cotta, c’è solo l’indecisione della scelta, e del modo di prepararla.
E se ancora oggi a Firenze o a Napoli è considerato uno street food e la si può acquistare per strada, nei caratteristici chioschi o dagli ambulanti, che a Napoli chiamano “carnacottai” sin dal ‘700, da anni è presente nei menù dei ristoranti, finanche quelli stellati.
E’ un alimento caratteristico di molte regioni italiane e latine, oltre che in Francia si consuma anche in Spagna – dov’è famosa quella alla madrilena – in Grecia, ma generalmente in tutti i Paesi che hanno la cultura della carne bovina. Tanto da finire sugli scaffali dei supermercati tra i più diffusi cibi precotti in scatola. E se un tempo era considerato il cibo dei poveri oggi è considerata una vera e propria prelibatezza gourmet.
È una frattaglia costituita dalle diverse parti dello stomaco di bovino e non, come molti credono, dall’intestino. Il bovino ha quattro stomaci il rumine da cui si ricava la trippa vera e propria, il reticolo, l’omaso, da cui si ottengono il foiolo e il caratteristico millefoglie o centopelli e l’abomaso o lampredotto.
A Milano la busecca, come viene chiamata la trippa, è un piatto della tradizione contadina da servire nei cocci di terracotta con i fagioli. Un tempo veniva consumata nelle occasioni importanti – immancabile nella cena della vigilia di Natale – quando i contadini si riunivano dopo la messa di mezzanotte o per festeggiare un buon raccolto. Ancora oggi i milanesi tra loro si chiamano scherzosamente busecconi (mangia-trippa) con un appellativo divenuto emblematico della milanesità. A Napoli, invece, si mangia preferibilmente cruda condita con abbondante limone. In ogni strada o vicolo della città che si rispetti è immancabile un chiosco dove acquistare e consumare la trippa, cruda o cotta. Imperdibile per chi si trova in città un salto dalla famosa tripperia Le Zantraglie, in via Pignasecca, che deve il suo nome all’appellativo dato dai monsù, i cuochi francesi, e dai loro assistenti, alle donne della plebe che si accalcavano fuori le porte di servizio delle cucine nobiliari per accaparrarsi gli scarti della cucina, tra cui le interiora, les entrailles appunto. A Firenze è famoso il panino con il Lampredotto, ottenuto dall’abomaso, uno dei quattro stomaci del bovino, formato da una parte magra, la gala, e da una parte più grassa, la spannocchia: gustosissimo. Spostandosi a Roma si capisce che la trippa è così radicata nella cultura locale dal fatto che è la protagonista di uno dei più famosi detti romani, “nun c’è trippa pe’ gatti”, inventato verso i primi del ’900 dal sindaco dell’epoca Ernesto Nathan, quando dovette eliminare dalle voci di bilancio le spese dedicate ad alimentare una colonia di gatti randagi. Molto conosciuta e apprezzata, soprattutto in Piemonte la pregiatissima trippa di Moncalieri, un insaccato cotto, confezionato con rumine e reticolo e con lo stomaco dei suini, che si consuma come antipasto, tagliata a fette sottili e condita con olio, limone, aglio, prezzemolo e pepe, mentre a Bologna non poteva non essere cucinata “alla bolognese”, con il succulento ragù fatto con carne tritata. Da menzionare anche la preparazione “alla parmigiana”, servita in brodo preparato con pomodori e cipolle, e accompagnata con Grana o Parmigiano reggiano.
Anche in Francia si consuma rigorosamente cotta. Con la trippa (di vitello, di maiale o un misto delle due) si prepara una salsiccia aromatica, l’Andouillette Lyonnaise, da gustare con salsa di panna accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso. Ma è altrettanto famoso il tablier de sapeur (trippa impanata e fritta).