La mattina di Pasqua, per le stradine dei borghi umbri si spande un profumo a cui non si può resistere, quello della torta al formaggio, un pane morbido e saporitissimo, che nella forma ricorda il panettone natalizio milanese. Dal colore giallo intenso, dovuto all’abbondante presenza delle uova, questa specialità viene preparata da sempre nella bella regione e chiamata con nomi diversi – torta a Perugia, pizza a Terni, crescia a Gubbio. Fa parte anche della tradizione gastronomica delle vicine Marche, dove è nota come pizza di Pasqua.
Sulle tavole dell’Umbria la consuetudine è quella di consumarla nell’abbondante colazione salata pasquale tipica del Centro Italia, insieme a uova sode, frittate, capocollo – il prelibato salume ricavato dai muscoli del collo di suino disossati e aromatizzati con sale o spezie –, torta dolce e un buon bicchiere di vino rosso. Fino a qualche anno fa veniva portata in chiesa durante la veglia del Sabato Santo per essere benedetta e poi gustata il giorno seguente, in tarda mattinata, con gli altri cibi.
È immancabile anche nei forni e nelle trattorie regionali, che la servono nel classico antipasto composto da prosciutto e pecorino di Norcia, lonza e salame di cinghiale.
In passato in ogni casa c’era l’abitudine di sfornare dieci o quindici torte, così, per raggiungere l’elevato numero di uova necessarie, la raccolta cominciava all’inizio della Quaresima e comprendeva non solo quelle di gallina, ma pure uova di anatra e oca. Cucinare la pizza di Pasqua era un rito che coinvolgeva l’intera famiglia. Nel pomeriggio del Venerdì Santo le massaie iniziavano a impastare la farina, le uova – una per ogni etto di farina –, lo strutto e il lievito madre, un composto di farina e acqua fermentato all’aria, che rende pane e pizze particolarmente soffici. Aggiungevano poi il pecorino di Norcia – prodotto ancora oggi in Valnerina esclusivamente con latte di pecora e con metodi artigianali -, impiegando sia quello stagionato che fresco – il primo grattugiato, il secondo a pezzi – e mescolavano il tutto con vigore. In questa operazione, che richiedeva grande forza fisica dal momento che le dosi erano massicce, le donne si lasciavano aiutare dai propri mariti e si alternavano con loro per tutta la notte, riprendendo e lavorando più volte l’impasto. Al termine della lunga lievitazione, che avveniva in tegami di coccio stretti e alti, il composto veniva messo a cuocere nel forno a legna e coloro che non lo avevano nella propria abitazione lo portavano dal panettiere, trasformando la preparazione della torta al formaggio in un’autentica festa per tutto il paese.
Oggi in Umbria si continua ancora a preparare la pizza di Pasqua, ma il lievito madre – che ormai pochi hanno a disposizione – è spesso sostituito da quello di birra; qualcuno, infine, riduce il numero delle uova, per rendere il risultato più leggero.