wwww.acasadaivana.it
wwww.acasadaivana.it

Piccole e fragranti pagnotte, fuori dorate e croccanti ma dentro soffici e porose. Le pucce sono tra i simboli della gastronomia salentina: originarie del leccese, sono diffuse anche in diversi comuni della provincia di Taranto, con innumerevoli – e gustosissime – varianti. È sufficiente entrare in una qualsiasi panetteria della zona per trovarsi di fronte alle profumate pagnottelle appena sfornate, vendute tra i tanti tipi di pane del Salento, tra cui il garganico, dalle dimensioni imponenti che raggiungono i 10-12 chili, e quello di Laterna (Taranto), di origini medievali.

La versione più famosa è quella con le olive nere: le massaie salentine utilizzano le “Celline di Nardò”, una varietà locale di piccole dimensioni, che “scaricano” nell’impasto il colore e il loro sapore piacevolmente fruttato. In passato la puccia cu’ ’lle ulie rappresentava il pranzo veloce e povero dei contadini – preparato dalle mogli con ciò che c’era in dispensa –, nel corso della loro giornata di lavoro nelle campagne dell’entroterra salentino.

www.laperitivo.it
www.laperitivo.it

Vengono lavorate con farina di grano tenero mista a semola di grano duro rimacinato – che dà all’impasto una tonalità calda, diversa da quello di un semplice panino –, acqua e un pizzico di sale.

In molte case pugliesi, però, la ricetta di base è arricchita da olio extravergine d’oliva oppure da patate lesse e schiacciate, due ingredienti che regalano alla puccia una morbidezza fuori dal comune.

Oggi le pucce rappresentano un classico street food, che può essere acquistato non solo nei panifici ma anche nelle “puccerie”, caratteristici localini pugliesi che le sfornano a ogni ora, le tagliano a metà e le farciscono con cime di rapa e salsiccia, con pomodori secchi, alici e cicoria selvatica, con prosciutto e formaggio, con i salumi, i sottaceti oppure “alla gallipolina”, con capperi, acciughe, provolone, pomodorini, tonno o pesciolini fritti sott’aceto (i franfullicchi nel dialetto locale) – una variante che gli abitanti dell’incantevole borgo del leccese, per tradizione, mangiano il 7 dicembre, alla vigilia della festa dell’Immacolata, in segno di penitenza.

Il nome

L’etimologia della parola puccia ci fa capire che la sua origine è davvero lontana nel tempo. Il termine deriva, infatti, dal latino buccellatum, il pane “militare” dei romani, chiamato così perché veniva consumato dal buccellarius, un legionario impegnato in lunghi spostamenti che durante la permanenza lontano da casa si nutriva con queste pagnotte impastate con olio, semola e acqua – una ricetta del tutto simile alle pucce odierne.

 

Le varianti

Nel Salento troviamo diverse versioni delle buonissime pagnotte: nel comune di Caprarica di Lecce, ad esempio, l’impasto di base viene rinforzato con olive in salamoia; a Taranto, invece, c’è la “Puccia alla vampa”, cotta a fiamma molto elevata, che provoca un immediato rigonfiamento della superficie esterna lasciando l’interno particolarmente soffice. Ancora, nei borghi di Pulsano e Lizzano preparano la “Puccia alla tajedda” o “Puccia alla spàsa”, ovvero “in teglia”, farcita con cipolle, olive, capperi, acciughe salate, pomodori e peperoncino.

Una versione simile ma con un nome diverso è rappresentata, infine, dai pizzi – anch’essi tipici di Lecce –, ottenuti aggiungendo all’impasto pomodori, cipolle, zucchine, capperi, olive nere e olio.

 

La ricetta delle pucce leccesi

Ingredienti per 12 pucce

500 gr di semola di grano duro rimacinata
500 gr di farina 00
500 gr circa d’acqua o quella che assorbe la farina
25 gr di lievito di birra
Sale q.b.

Procedimento

Sciogliete il lievito in un po’ di acqua tiepida; disponete la farina a fontana mettendo al centro il lievito, il sale e aggiungendo l’acqua poco alla volta. Impastate gli ingredienti fino a ottenere un panetto dalla consistenza abbastanza morbida. Fate lievitare l’impasto per un’ora e mezza circa; trascorso il tempo necessario, riprendetelo e con le mani infarinate formate delle pagnotte piccole tonde. Infarinate le pucce, sistematele su una teglia anch’essa infarinata e infornatele a 250 gradi, in forno preriscaldato, per 30 minuti o finché diventeranno dorate.

 

Iscriviti alla newsletter
per rimanere sempre aggiornato
sul mondo di Rovagnati