È bene avere un comportamento lineare e sottotraccia, se no, si sa, la gente mormora. La mormora cerca di averlo e ci riesce talmente bene, a non far parlare di sé, che molti abbagliati dal clamore che circonda branzini, orate e dentici quasi ne ignorano l’esistenza, pur avendo lei carni di ottima qualità.
La mormora è un pesce di mare: all’anagrafe fa Lithognathus mormyrus e nel nome rimanda alla pietra, perché le sue striature somigliano a quelle di certi marmi e rendono la mormora marmorea anche se non vive nel Mar Morto.
In compenso, oltre che nel Mediterraneo e nell’Atlantico, si trova a suo agio nel Mar Nero, e questo giova alla memoria di chi la mangia perché ha molto Bosforo. È un pesce ermafrodito, però contrariamente alla boga, nasce maschio e si trasforma in femmina. È colto e conosce le lingue, pare che quando fa l’amore mormori in inglese more more. In spagnolo peraltro la chiamano Herrera, l’allenatore di calcio teorico del Movimiento. Non è un pesce di fiume, quindi contrariamente a ciò che qualcuno pensa, nella Canzone del Piave, dove si dice “il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio” non c’è riferimento alcuno alla presenza di mormore nelle sue acque. Anche perché a maggio la mormora non si sa bene cosa faccia né dove sia, visto che il periodo tradizionale per la pesca va da giugno a settembre. In cucina la mormora si tratta come si trattano i branzini, le orate e le spigole. Potete farle al forno con le patate o con le olive, al cartoccio, alla griglia. L’importante è che non le facciate cuocere troppo, perché se no inizia a girare la voce che non sapete cucinare. In questi casi, si sa, la gente mormora.
La ricetta della Mormora Tricolore
Per 4 persone
Ingredienti
800 g di filetti di mormora
2 zucchine
1 cipolla
300 g di pomodorini datterini
mezzo bicchiere di vino bianco
origano
olio extravergine d’oliva
Procedimento
In un ampio tegame fate soffriggere la cipolla tagliata fine e le zucchine a rondelle. Quando sono morbide aggiungete i filetti di mormora e sfumate con il vino bianco. Quindi aggiungete i pomodorini. Dopo 10 minuti il piatto è pronto. Prima di servire cospargete di origano. Nota: a mormora tricolore – con il bianco della cipolla, il verde degli zucchini e il rosso dei pomodori – è un chiaro omaggio primaverile e patriottico al Piave che mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio. Se però volete essere ancora più patriottici, potreste anche usare per questo piatto il pesce bandiera che in tal caso non va sfilettato ma tagliato a tranci. Se la cipolla non vi piace (ma fa piangere proprio come la retorica patriottica impone), potete anche farne a meno: il bianco in fondo è già negli zucchini. In tal caso potete usare solo aglio e magari dare nerbo con un po’ di peperoncino.
Rocco Molteni
Giornalista e responsabile della rubrica Il Bello & il Buono de La Stampa, Rocco Moliterni è tra i più apprezzati critici gastronomici italiani. Caposervizio del settore cultura ed esperto di arte, nel 2013 gli è stato assegnato il premio Igor Man per l’ideazione e la realizzazione dell’inserto di sedici pagine sulla nona edizione di «Cheese», l’evento biennale di Slow Food dedicato alle forme del latte e al mondo dei formaggi. In occasione del 150° dell’Unità d’Italia ha scritto un libro che ha avuto molto successo, Parlami d’amore, ragù, in cui attraverso 100 brevi racconti tratti dalla sua rubrica “Fratelli di teglia”, pubblicata dall’aprile 2010 ogni settimana su La Stampa ha tracciato una storia semiseria dell’Italia a tavola: dai piatti preferiti da personaggi storici come Garibaldi, Manzoni, Cavour, Rossini a specialità regionali, dalle leggende attorno all’origine di alcuni classici come l’insalata russa o il carpaccio a prodotti che hanno fatto la storia recente dell’industria alimentare come l’Idrolitina, il Buondì Motta, o il Fernet Branca. Nel libro c’è stazio anche per la comunicazione dell’alimentare attraverso le pubblicità storiche.
Il libro
L’idea di scrivere questo libro, come afferma l’autore, “vuol essere soprattutto un divertissement” sui pesci che vivono nei nostri mari (non me ne vogliano i pescatori e gli ittiologi se ho confuso qualche nome) e sui modi in cui si possono cucinare. E’ nato così “Non so che pesci pigliare. Piccolo dizionario semiserio dall’Acciuga alla Zuppa di mare” (Mondadori, 2014). Quanto sale ci vuole per cucinare un branzino al sale? E quanti pomodorini nel sauté di frutti di mare? Molte persone, come l’autore, quando cucinano per le dosi non usano la bilancia, ma vanno “ a occhio”. Se le descrizioni nascono tutte dalla penna di Moliterni, le ricette di alcuni piatti, in particolare le zuppe di mare, sono tratte – come dichiara l’autore nella prefazione – dalla Grande Enciclopedia della Gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti, “una sorta di stella polare nella stesura del libro”.