Uova, semolino e brodo. Dall’unione di questi tre ingredienti nasce la stracciatella alla romana, un’istituzione della cucina laziale, economica, saporita e corroborante, ideale nelle serate fredde.
Semplicissima la preparazione: le uova vanno sbattute con una forchetta, insieme a qualche cucchiaio di semolino – che dona corposità –, a una spolverata di parmigiano o grana e a un po’ di prezzemolo tritato. Il tutto deve essere poi versato velocemente nella pentola contenente il brodo di carne portato a ebollizione e mescolato con un frustino, con movimenti rapidi ed energici, per permettere all’uovo di rapprendersi formando piccoli “straccetti” – da cui il nome della minestra. Qualcuno la insaporisce con buccia di limone grattugiata, che stempera l’odore dell’uovo e rende la pietanza più profumata, oppure con un pizzico di noce moscata.
Ancora oggi nella Capitale è consuetudine consumarla il 26 dicembre per dare una seconda vita al brodo del pranzo di Natale. Ma in passato la stracciatella non veniva preparata soltanto a Santo Stefano: durante l’inverno compariva sulle tavole almeno una volta a settimana, così con una spesa minima ci si assicurava un pasto caldo e nutriente, che aveva anche la funzione di rigenerare l’organismo dopo l’influenza e i malanni di stagione. Un connubio, quello tra “uova fresche e succosi brodi”, celebrato persino dalla Scuola Medica Salernitana, che lo riteneva un valido alleato per “rendere più efficienti le forze naturali”, e che con l’aggiunta della noce moscata – considerata nella medicina popolare un digestivo e un potente afrodisiaco – contribuiva ad attribuire a questo piatto funzioni davvero portentose.
Nei secoli scorsi la stracciatella era talmente radicata nella cultura popolare che veniva addirittura servita durante i pranzi di nozze, per “aprire” e riscaldare lo stomaco in attesa delle portate successive.