“Pane raffermo, una manciata di castagne secche e una mela”. Era la colazione o lo spuntino di un crociato diretto in Terrasanta, come racconta anche Franco Cardini nella sua “Avventura di un povero crociato”. Per gli altri pasti, invece era immancabile la frisella, una fetta di pane di grano duro o integrale biscottato che leggermente spugnata diventava un ottimo companatico. Siamo tra l’XI e il XIII secolo e oltre 40.000 uomini, tra cui tantissimi nobili ispirati dalla fede religiosa, e una minoranza di cavalieri, rispondono all’appello di Papa Urbano II che raccoglie la richiesta d’aiuto dell’imperatore bizantino Alessio Commeno per salvare i cristiani d’Oriente dalla drammatica repressione dei musulmani. Il Papa indisse un pellegrinaggio armato al Concilio di Clermont (1095) al grido di Deus vult (“Dio lo vuole“).

Quando si parla di Crociate, come di altri eventi storici, generalmente non si è portati a pensare ad aspetti diversi da quelli storici, sociali, culturali o politici. L’alimentazione, invece, era un aspetto fondamentale per la buona riuscita di una missione, una guerra, come anche di un pellegrinaggio. Queste imprese richiedevano settimane, se non mesi, di cammino e di viaggio e bisognava avere provviste alimentari a sufficienza. La frisella, come altre forme di pane biscottato (cotto due volte), per i soldati, i cavalieri, i pellegrini ma anche in naviganti.

La frisella o fresella o anche vascuotto (biscotto) è tipica dell’Italia meridionale (Campania, Calabria e Puglia), tappe obbligate dei crociati verso la Terrasanta. Con le sue innumerevoli varianti locali, il termine deriva con buona probabilità dal latino “frendere”, che vuol dire macinare, pestare, stritolare. Ed in effetti la croccante e ruvida fresella, per essere consumata deve essere più o meno ammorbidita e sminuzzata.
Apparve per la prima volta sulle tavole attorno all’anno mille, anche se, secondo alcune tracce, le sue origini risalgano addirittura alla civiltà Fenicia. La sua consistenza, asciutta e resistente al tempo, la rese da subito un’ideale alternativa al pane e “compagna di viaggio” per i marinai, costretti a lunghi mesi di navigazione, che usavano consumarla direttamente bagnata con l’acqua di mare, in modo da ammorbidirla e salarla al punto giusto. Famosa quella di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli. E’ in Puglia che acquisì il nome di “pane dei Crociati”, essendo stata uno degli elementi del vettovagliamento delle armate cristiane che si recavano in Terrasanta. La forma, per lo più ad anello, consentiva inoltre di far passare un filo nel foro centrale creando collane di freselle che facilitavano il trasporto e venivano poi tenute appese a chiodi e conservate per lungo tempo.

Secondo la tradizione, la frisella fatta di farina di grano duro era un alimento per le famiglie ricche, mentre le famiglie contadine, più povere, erano solite mangiare friselle di grano d’orzo o di altri cereali, più economico e facilmente reperibile.

 

A Napoli, intorno al 1900, le freselle erano vendute dal “tarallaro”, un venditore ambulante che batteva incessantemente le strade della città, e accompagnate da un brodo di fagioli, di polpo o dal sugo della trippa, mangiate con gusto dal popolo per “riscaldare lo stomaco”.

Cantata anche da grandi poeti, come Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo, la frisella oggi è ancora molto popolare sulle tavole del Sud Italia, in particolare durante l’estate, in quanto è un alimento fresco e leggero, adatto anche alle diete ipocaloriche e che, nonostante le numerose varianti, ben si sposa con i prodotti tipici di queste regioni, come il pomodoro, l’olio d’oliva ,l’origano e le olive verdi. A Napoli, infatti, la fresella è la base della caponata, che non è il classico stufato di ortaggi. Leggermente spugnata in acqua viene condita con pomodoro a tocchetti, aglio, olio, origano e basilico e nelle versione più moderna con cubetti di prosciutto cotto, di provola, mais o legumi.

 

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