Fonduta

Un trionfo di formaggio fuso, caldo ma non bollente, in cui immergere il pane tagliato a pezzetti. È la fonduta, una prelibatezza diffusa tra la Svizzera, la Savoia francese, il Piemonte e la Valle d’Aosta, che ha conquistato nel tempo tanti italiani, anche al di fuori delle due regioni a nordovest della Penisola.

Va preparata e portata in tavola nella caratteristica caquelon, una pentola di terracotta, ghisa o porcellana dal fondo spesso posizionata su un supporto di metallo o ferro – il réchaud – contenente una fonte di calore, per esempio una candela o un fornellino ad alcool, che permette al formaggio di mantenere la giusta temperatura per l’intera durata del pasto. Per mangiarla occorre seguire un vero e proprio “rito”: ogni commensale, infatti, intinge il pane nel formaggio con un’apposita forchettina – dalla forma allungata e con l’impugnatura in legno, per non scottarsi – imprimendole un movimento “a otto”, per permettere ai due elementi di legarsi alla perfezione.

Considerata un simbolo di convivialità, la fonduta è l’ideale da gustare nelle serate con gli amici, quando le temperature sono ancora piuttosto fredde e ci si riunisce in casa; questa sua caratteristica è legata a un evento storico ben preciso, risalente a oltre cinque secoli fa. Kappel, cittadina svizzera del Canton Zurigo, nel XVI secolo fu teatro dei conflitti tra i cattolici, provenienti dalle montagne della Svizzera centrale, e i protestanti di Zurigo guidati dal riformista Ulrich Zwingli: nel 1529 i due schieramenti, affamati, si concessero una tregua mettendo in comune il latte, che i cattolici possedevano in abbondanza, e il pane, di cui disponevano i protestanti. Cuocendo insieme i due alimenti nacque quella che è poi diventata la “zuppa di Kappel”, considerata l’antenata della fonduta.

Mangiare la fonduta

In realtà sulla nascita di questo piatto esistono varie spiegazioni, anche piuttosto discordanti. In tempi lontanissimi i contadini svizzeri avevano l’abitudine di fondere il formaggio insieme a quello che avevano a disposizione in casa, mangiandolo poi con il pane raffermo. Soltanto nel 1825 comparve la prima notizia scritta riguardante la fonduta, quando il politico francese Anthelme Brillat-Savarin inserì la ricetta nella sua opera Physiologie du Goût. Ma il piatto descritto da Savarin prevedeva l’utilizzo delle uova e del burro, mentre la vera fondue suisse, così come la conosciamo oggi, con liquore e vino bianco, cominciò a circolare soltanto agli inizi del Novecento.

Ne parlarono ancora Giovanni Vialardi, cuoco di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia, nel suo Trattato di cucina del 1854, e Pellegrino Artusi nel celebre La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene del 1891, che la definì “cacimperio” e riportò una preparazione a base di fontina, burro, rossi d’uovo e latte, che non doveva essere “né granulosa, né far le fila, ma aver l’apparenza di una densa crema”.

 

Le varianti

La fonduta è realizzata sempre con formaggi locali e quindi assume connotazioni specifiche a seconda del territorio. In Svizzera è fatta con parti uguali di Gruyère, prodotto nell’omonimo distretto nel Canton Friburgo, ed Emmentaler, che nasce nella Valle del Fiume Emme, oppure con uno dei due formaggi e il Vacherin Friburgeois, a pasta molle. Gli ingredienti che non possono mancare nell’autentica fondue suisse sono poi il kirsch (l’acquavite di ciliegie) e il vino bianco.

La ricetta della Savoia francese, invece, è a base di Comté e Beaufort, mentre quella valdostana e piemontese non prevede l’uso del liquore né del vino, bensì di tuorli d’uovo, latte, burro e naturalmente Fontina DOP della Valle d’Aosta.

Negli anni sono nate poi fondute prive di formaggio, come la Fondue Bourguignonne, costituita da bocconcini di carne cotti nel caquelon, in olio bollente aromatizzato, e quella al cioccolato, servita con pezzetti di frutta.

 

La ricetta della fonduta valdostana

Ingredienti per quattro persone

400 gr di fontina
4 tuorli d’uovo
250 ml di latte intero
30 gr di burro

Procedimento

Tagliate la fontina a fettine e mettetela a bagno per almeno due ore nel latte, all’interno di un tegame. Trasferite poi la pentola sul fuoco, a fiamma dolcissima, unite il burro e mescolate con una frusta per far fondere il formaggio, facendo attenzione a non far formare grumi e a non far mai bollire il latte. A questo punto aggiungete i tuorli d’uovo continuando a mescolare per mezz’ora, o fino a quando il composto si sarà addensato: dovrà risultare cremoso, non filante. Spegnete il fuoco, versate la fonduta nella caquelon e portate in tavola con pane abbrustolito o con la polenta.

 

Iscriviti alla newsletter
per rimanere sempre aggiornato
sul mondo di Rovagnati