Da secoli accompagna e rinfresca le estati di milioni di italiani. La granita è uno dei simboli dell’italian food nel mondo. Un tempo fatta con il ghiaccio (o la neve), recuperato sulle cime più alte, era venduta dai classici chioschi dell’acqua o da ambulanti che giravano con un lungo pezzo di ghiaccio da cui la ottenevano “grattandolo”. Oggi si trova praticamente ovunque, nei bar di tutta Italia, come in quelli di molti altri Paesi europei: è, ad esempio, uno dei prodotti più venduti in Grecia o sui banchi della Boqueria, il famoso mercato di Barcellona.
Ma la sua terra di origine è la Sicilia; qui la granita è un’autentica “esperienza del gusto” da non perdere nel caso di un viaggio nella bella regione: densa e cremosa, è dolce al punto giusto e non presenta tracce di ghiaccio tritato.
Colazione isolana per eccellenza, può essere gustata anche come sostanziosa merenda, comodamente seduti al tavolino del bar o della gelateria – non può essere definita perciò uno street food –, accompagnata (o come farcitura) dall’immancabile e fragrante brioscia cu’ tappu, la brioche tonda col “cappello”. Qualche locale storico ha ancora l’abitudine di servirla con il “pesciolino”, uno sfilatino spolverizzato di sesamo, appena sfornato. Il consiglio degli intenditori è quello di assaporarla con calma, inzuppando la brioche o il pane direttamente nella crema.
Nell’isola ogni città ha la sua granita caratteristica: quella palermitana è con i limoni siciliani, profumati e succosi; a Noto e in tutto il siracusano è con le pregiate mandorle, Presidio Slow Food; a Messina è al caffè – ricoperta o meno da panna montata – o con i prelibati gelsi neri; a Catania con i rinomati pistacchi di Bronte, protetti dal marchio DOP e anch’essi inseriti tra i Presidi di Slow Food; nel trapanese da tempi antichissimi viene preparata con un delicato infuso a base di fiori di gelsomino. Negli ultimi anni ai gusti tradizionali se ne sono aggiunti altri, meno tipici ma altrettanto buoni, come cioccolato, nocciola, ananas, fragola, pesche.
In Sicilia sono tanti i posti dove assaggiare un’indimenticabile granita: per citarne solo alcuni, la “Gelateria Sabrina” di Ustica tra le tante varianti propone quella ai fichi, mentre il “Bam Bar” di Taormina vanta addirittura 22 gusti, che cambiano in base alla stagione; il “Bar De Luca” di Briga Marina, borgo di 300 abitanti nel messinese, è famoso per le migliori granite alla frutta dell’isola; la “Pasticceria Costantino” di Militello (Catania), invece, è rinomata per quella alla mandorla.
Dal 2012, a metà giugno, il centro storico di Acireale ospita un evento interamente dedicato alla regina dell’estate isolana: ‘a Nivarata e il rito della Granita Siciliana, una gara tra gelatieri locali e provenienti dalle altre regioni italiane, condita da degustazioni, cooking-show e attività ludiche.
Origini arabe
Origini arabe
L’antenato della granita è lo sherbet, una bevanda araba importata sulle coste sicule con l’inizio della dominazione dell’isola, nel IX secolo, a base di acqua ghiacciata aromatizzata con acqua di rose o succhi di frutta. Gli isolani si ispirarono probabilmente alla ricetta dei conquistatori, ma le diedero connotati peculiari: per prepararla, infatti, nei mesi invernali raccoglievano la neve sull’Etna, sui monti Iblei e i Nebrodi, conservandola poi nelle “niviere”, costruzioni di pietra scavate dentro le grotte, dove si trasformava in ghiaccio, che veniva poi prelevato in estate, “grattato” e unito agli sciroppi. La versione originaria della granita, chiamata appunto rattata (grattata), rimase in uso fino ai primi del Novecento ed era simile alla “grattachecca” romana, diffusa tuttora. A Messina, in epoca medievale esisteva persino il mestiere del nevarolu, che conservava la neve per tutto l’anno e poi la rivendeva ai nobili, che la gustavano in estate per refrigerarsi, con succo di limone.
A partire dal 1500 i siciliani perfezionarono notevolmente la ricetta, mettendo la miscela di acqua (e non più di ghiaccio), zucchero e succo di frutta in un pozzetto (tino di legno), posto nella paglia, che fungeva da isolante, e a sua volta contenente un secchiello di zinco alimentato con una manovella. Le intercapedini, riempite con neve e sale, raffreddavano la miscela; nel frattempo il secchiello girava impedendo la formazione di cristalli di ghiaccio di grandi dimensioni. Solo nel XX secolo questo primordiale – e geniale – congelatore fu sostituito dalle moderne gelatiere.
Ancora oggi il segreto di una buona granita è quello di girare il composto in continuazione – se fatta in casa con una comune frusta –, con movimenti rapidi e circolari, per dare al risultato finale la giusta cremosità.
La grattachecca romana
La grattachecca romana
È uno street food vero e proprio, a differenza della “cugina” siciliana.
Nata agli inizi del Novecento, dolce e rinfrescante, durante la bella stagione viene acquistata da romani e turisti per refrigerarsi dal torrido sole capitolino, mentre si passeggia nel centro o si è in coda per la visita ai tanti monumenti della città.
Venduta dai bar ma soprattutto dai caratteristici chioschi e carretti ambulanti, storicamente era preparata “grattando la checca” (un grosso blocco di ghiaccio impiegato in passato per la refrigerazione degli alimenti) con un apposito raschietto, poi raccogliendo il ghiaccio in un bicchiere e aggiungendo lo sciroppo di limone, menta, latte di mandorla, amarena o altri gusti, unendo eventualmente frutta a pezzetti, come melone o cocco.
Ma sono pochi ormai i chioschi che la preparano con il metodo tradizionale: tra questi “Sora Mirella”, un’istituzione a Trastevere, che utilizza solo limoni premuti a mano; “Er Chioschetto”, in Via Magna Grecia, rinomato per le amarene sciroppate che completano l’opera; la “Casina dell’Ara Pacis” sul Lungotevere in Augusta, famosa per la grattachecca al cedro.