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Prodotta nella campagna marchigiana da almeno cinquecento anni con il latte bovino e ovino dei pascoli locali, la Casciotta d’Urbino è tra i più antichi formaggi del Belpaese, oltre che uno dei 47 tutelati dal marchio DOP. Questa formaggetta tonda di piccole dimensioni, dalla consistenza e dal sapore dolce con un delicato aroma di latte, vanta una “parentela” davvero illustre: i terreni dove in origine veniva prodotta, a Casteldurante – l’attuale Urbania, in provincia di Pesaro Urbino –, infatti, appartennero a Michelangelo Buonarroti. La scoperta, recentissima, è di Rodolfo Coccioni, geologo e docente dell’Università di Urbino, che il 5 maggio ne ha dato notizia ufficiale e il prossimo 13 giugno mostrerà gli atti del ritrovamento a Expo, nel corso di una manifestazione in cui sarà presentato il nuovo corso di Alta Formazione in “Geologia e Gusto” dell’ateneo urbinate.

Il formaggio

La Casciotta DOP nasce nell’intera provincia di Pesaro Urbino, in un territorio ricco di erbaggi, dall’antica vocazione al pascolo di ovini e bovini. È un formaggio a pasta semicotta, ottenuto dalla lavorazione di latte di pecora (per il 70-80%) e di vacca (per il restante 20-30%) di mungiture giornaliere, fatto coagulare con caglio di vitello. La stagionatura varia da un minimo di 15-20 giorni fino ai 30-60 giorni, dopodiché le formaggette, una volta asciugate e rassodate, vengono messe in salamoia o salate a secco.

A tavola la Casciotta merita di essere gustata in purezza, accompagnata dal filone, il tipico pane marchigiano con poco sale, o dai crostoli del Montefeltro, una sfoglia sottile simile alla piadina, originaria della storica regione racchiusa tra le province di Pesaro Urbino, Rimini, Arezzo e la Repubblica di San Marino. Superbo l’abbinamento con il ciauscolo, il caratteristico salame spalmabile dal sapore delicato, e con il pregiato Prosciutto Crudo di Carpegna. In primavera, invece, viene solitamente gustata con le fave fresche.

 

Il genio del Giudizio Universale ne era ghiotto

Marches (Italy): summer landscapeÈ un’immagine quasi bucolica dell’artista, in contrasto con il genio inquieto del Giudizio Universale, quella che è arrivata a noi pochi giorni fa grazie alla scoperta di Coccioni. L’immagine di un Michelangelo “appassionatissimo di questo formaggio fresco e dolce dell’antico Ducato di Urbino, prodotto con latte di animali nutriti con il guaime, l’erba tenera che rinasce dopo la prima falciatura”, racconta il geologo.

A Casteldurante il Buonarroti era proprietario di tre terreni, “uno detto de Collonello, secundo detto delli Camporesi, tertio nuncupato de Ca la Ricciola” – come si legge negli atti notarili ritrovati da Coccioni –, che conservano ancora oggi gli stessi nomi.

Per assicurarsi il suo amato cacio di guaime – così era chiamata all’epoca la Casciotta – anche durante gli anni trascorsi a Roma per progettare Piazza del Campidoglio e la Cupola di San Pietro, Michelangelo fittò una parte del terreno a Francesco Amatori – suo domestico e stretto collaboratore, nativo proprio della cittadina marchigiana –, come testimonia un atto notarile del 12 febbraio 1554. Anche quando Amatori morì fu sua moglie, Cornelia Colonnelli, che si preoccupò di far recapitare il formaggio all’artista. Una consuetudine che è testimoniata da numerose lettere indirizzate dalla donna a Michelangelo, datate tra il 1° gennaio 1557 e il 26 luglio 1561, che accompagnavano talvolta due, altre volte sei o addirittura dieci forme di “casciotti de guaime”, che il grande scultore, pittore e architetto non faceva mai mancare nella sua dispensa.

 

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