A Roma è consumata da sempre ‘strascinata’, ovvero passata in padella con aglio, olio e peperoncino. In inverno la ritroviamo in tante pietanze della tradizione regionale italiana, dalla ’ncapriata pugliese, il millenario purè di fave secche accompagnato dalle erbe di campo lesse, all’acquacotta, una zuppa povera di pane raffermo e uova di origine toscana, fino al ‘martuoffolo’ del Sannio e dell’Irpinia con le patate e alla ricca minestra maritata, piatto natalizio campano in cui la verdura sposa diversi tipi di carne (ossa di prosciutto, cappone, gallina, vitello, salsicce).
Ma la cicoria, cruda e cotta, è ampiamente utilizzata anche sulle tavole primaverili. Dal secondo dopoguerra allontanata a lungo dalle tavole perché considerata troppo ‘umile’, è ricomparsa negli ultimi anni, nelle ricette storiche e in preparazioni più moderne.
Con l’arrivo delle temperature miti quest’erba selvatica diventa protagonista di insalate e piatti leggeri, perfetti per ‘rimettere in moto l’organismo’ intorpidito dal freddo invernale. Le cicorielle più tenere e piccole sono ottime crude, abbinate a pomodorini rossi e uova sode, a prosciutto cotto e formaggio fresco, o ad altri ingredienti dolci che ne bilancino il gusto amaro. I contadini in passato le mangiavano con acciughe e cipolle, condite con olio e limone.
Cotta, quando al mercato compaiono fave, fagioli e piselli freschi, la cicoria è impiegata per preparare gustose zuppe primaverili, da servire con il pane tostato, con la pasta o il riso. Buonissima lessa, con olio extravergine di oliva, sale, succo di limone o aceto, da sola o accompagnata dalle patate, è superba con il pregiato lardo di Colonnata. Chi ama sperimentare ai fornelli la utilizza infine come ripieno di rustici e torte salate: da provare la pasta brisée farcita con cicoria e salsiccia, suggerita da Alice.tv, o la più delicata sfoglia con cicoria, mozzarella e asiago, riportata dal blog Il Club di Rossana.
Presente da tempi antichissimi nell’alimentazione dei popoli mediterranei, la cicoria di campo ama il clima temperato ed è molto diffusa da nord a sud della Penisola; cresce spontaneamente in tutto il Paese, dalle zone costiere fino alle altitudini più elevate.
La ‘bruttona’ dalle mille virtù
La ‘bruttona’ dalle mille virtù
Dietro il suo aspetto un po’ sgraziato – che gli ha fatto conquistare in passato il soprannome poco edificante di ‘bruttona’ – questa verdura nasconde virtù preziose per l’organismo. Se ne erano accorti già gli antichi, che la consideravano un vero e proprio farmaco: già citata nel Papiro Ebers, un documento egizio del 1500 a.C. contenente una lunga lista di prescrizioni mediche, è menzionata anche nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), che gli attribuiva proprietà diuretiche e antinevralgiche. Galeno la riteneva ‘amica del fegato’, mentre i romani, per disintossicarsi dopo i loro pranzi decisamente abbondanti, consumavano piatti di cicoria cruda.
Col tempo la scienza ha confermato le credenze del passato: grazie all’elevata percentuale di acqua e alla presenza dell’inulina, la cicoria è indicata in caso di digestione lenta, stimola la diuresi e la funzionalità renale. Ricca di sali minerali, amminoacidi liberi, vitamine B, C, K e P, ha anche proprietà disintossicanti, stimolando il lavoro del fegato e della cistifellea e aiutando l’organismo a depurarsi. All’acido cicorico, che le conferisce il sapore amaro, sono inoltre attribuiti poteri afrodisiaci.
Il caffè di cicoria
Il caffè di cicoria
Nei secoli passati il vero caffè era estremamente caro, così dal XVII secolo cominciò a diffondersi in Europa quello di cicoria, preparato con le radici essiccate, macinate e messe a bollire con acqua. Il risultato era una bevanda dal colore scuro e dal sapore amaro, che ebbe un’enorme diffusione soprattutto con il blocco delle importazioni dall’Inghilterra imposto da Napoleone nel 1806, per poi scomparire progressivamente dalle case dopo la Seconda Guerra Mondiale.