Se il baccalà è oggi uno dei pesci e degli alimenti più diffusi al mondo, disponibile tutto l’anno, lo dobbiamo ad un navigatore veneziano, Pietro Quirini e al caso. Così come per la scoperta dell’America, Quirini dopo il naufragio della Querina, la sua caracca, approdò a Rost, sulle coste norvegesi, invece che quelle dei Paesi Bassi dove era diretto per vendere la sua merce. Nella relazione che Quirini scrisse per il Senato, oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana descrive la scoperta del baccalà o meglio dello stoccafisso.
“Gli abitanti di Rost prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone (…)”.
Quirini ripartì per Venezia nel maggio del 1432, dopo oltre un anno da quando era salpato da Candia alla volta delle Fiandre, portandosi 60 stoccafissi. La maggior parte di questi dovette venderli a Berger per pagarsi il viaggio di ritorno ma fu ampiamente ripagato dal successo che ebbe in Italia dove iniziò a commercializzarlo. Non a Venezia, però, dove si consumava solo pesce fresco, mentre già nella vicina Vicenza il pesce fu molto apprezzato, inizialmente per la sua bontà ma anche perché era più economico e non deperibile rispetto a quello fresco. Tant’è che in pochi anni ne divenne la patria e oggi ne è una delle indiscusse capitali dando il nome ad una delle ricette più apprezzate per gustarlo: il baccalà alla vicentina, oggi tutelato dalla Venerabile Confraternita omonima.
Anche se oggi se n’è perso quasi del tutto il ricordo e il suo nome non compare neanche nei libri di storia, per secoli Qurini è stato considerato uno dei più importanti naviganti, celebrato in tutto il mondo proprio per la scoperta e la diffusione dello stoccafisso e del baccalà. Il più famoso umanista cinquecentesco, Giovan Battista Ramusio, gli ha dedicato un intero capitolo nel libro Navigazioni e Viaggi il primo e uno dei più importanti sul tema di tutti i tempi. Nel 1931, cinquecentesimo anniversario del naufragio del navigatore veneziano, gli abitanti delle isole Lofoten hanno eretto un monumento in suo onore sull’isola di Rost.
Poco più di un secolo dopo, il 4 dicembre 1563, nel corso dell’ultima sessione del Concilio di Trento il baccalà viene riconosciuto “cibo magro” dalla Chiesa e introdotto nell’elenco degli alimenti permessi nei 200 giorni di magro, cioè in cui non si poteva mangiar carne, decretandone il successo.
Il baccalà, come lo stoccafisso (o stock), il mussillo e il ragno, sono tutte parti del merluzzo che si distinguono per la lavorazione e la conservazione. Se il baccalà e lo stoccafisso (stockfisch, dal nome d’uso originario tedesco) sono più conosciuti, il mussillo (filetto di baccalà) e il ragno sono le parti più pregiate.
Se la Boqueria, l’antico mercato di Barcellona, è la capitale del baccalà al pari con San Sebastiana, nei Paesi Baschi, non da meno lo sono alcune città italiane come Vicenza – dove si diffuse dall’ottobre del 1432, portato da Quirini –, Roma e Napoli, che vantano una delle tradizioni gastronomiche più apprezzate nella preparazione del baccalà.
Con la polenta, fritto o stufato alla “livornese”, ma anche in pastella come lo cucinano a Roma o semplicemente lesso, condito con olio e limone, il baccalà è presente sulle tavole di mezzo mondo dov’è arrivato dall’Europa in secoli di viaggi commerciali. Quello “alla vicentina” deve la sua notorietà a Michel de Montaigne che lo descrisse nel suo Journal de Voyage en Italie, poi divenuto celebre. Ma non si contano le storie, le leggende e i racconti, ma anche le canzoni, come Pesce veloce del Baltico di Paolo Conte, che parlano del prelibato alimento.
Il baccalà alla vicentina
Ecco la ricetta della “Venerabile Confraternita del baccalà alla vicentina”
Ingredienti per 12 persone:
Kg 1 di stoccafisso secco
gr. 250/300 di cipolle
1/2 litro di olio d’oliva extravergine
3 sarde sotto sale
1/2 litro di latte fresco
poca farina bianca
gr. 50 di formaggio grana grattugiato
un ciuffo di prezzemolo tritato
sale e pepe
Preparazione
Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni.
Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi.
Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le sarde sotto sale e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato.
Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe.
Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli.
Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare.
Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”.
Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare, può differire di consistenza.
Il baccalà alla vicentina è ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore. Servire con polenta.