Nella sua terra natale, l’Alta Valle del Tevere, al confine tra Umbria e Toscana, viene definito il “parente povero della salsiccia”, perché si ricava dalla carne avanzata dopo la lavorazione degli altri salumi, a cui si aggiungono tagli meno nobili del maiale come fegato, cuore e polmoni. Il “Mazzafegato” è un antico insaccato della tradizione umbra, che nasce dalla mani esperti dei norcini di Città di Castello e Umbertide, due incantevoli borghi della provincia di Perugia: una salsiccia di color rosso scuro che si consuma fresca o dopo una stagionatura di un paio di mesi, dal sapore robusto e dall’intenso aroma di spezie – dovuto alla conciatura delle carni con pepe, aglio e fiori di finocchio –, che proprio per il suo carattere importante si è meritata l’appellativo di ‘ammazza fegato’! È diffuso anche nella Valtiberina toscana, tra Stia, Pratovecchio, Montemignaio, Castel San Niccolò e altri comuni dell’aretino, dove è chiamato “Sambudello”.

www.umbriago.it
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Nelle case e nei ristoranti umbri il Mazzafegato fresco si mangia arrostito sulla brace, servito con erbette di campo lessate e ripassate in padella con aglio e olio, purè di patate, lenticchie o fagioli in umido, o ancora con i ceci in insalata. Va accompagnato con vini corposi, in grado di esaltarne il gusto robusto, come il Montefalco Rosso o il Torgiano Rosso Riserva.

Quello stagionato, invece, si taglia a fette spesse e si assapora con il Pane “sciocco” di Terni, la tipica pagnotta senza sale dalla crosta croccante e dalla mollica soffice, oppure con quello di Strettura, prodotto nell’omonimo paesino tra Terni e Spoleto, con farina di grano tenero locale, lievito madre, acqua purissima di sorgente e un pizzico di sale. Il Mazzafegato secco è ottimo anche per dare un tocco di gusto in più ai minestroni invernali o alle zuppe di legumi, per insaporire verdure saltate in padella o per arricchire sfoglie ripiene e torte salate.

 

In versione dolce

Dai norcini umbri questo salume viene preparato, più raramente, anche in versione dolce, impastando la carne con un po’ di sale e pepe e aggiungendo zucchero, pinoli, uva passa e bucce d’arancia. Il risultato è un salamino stagionato da due fino a sei o sette mesi, dal sapore molto particolare, che si mangia col pane casereccio.

 

Origini celtiche o umbre?

Secondo alcuni la consuetudine di aggiungere il fegato all’impasto delle salsicce sarebbe stata introdotta nel Centro Italia dai Celti, ben dieci secoli prima di Cristo, quando la popolazione germanica occupò la zona corrispondente all’Alta Valle del Tevere. Un’ipotesi giustificata dalla – in realtà piuttosto lontana – somiglianza del Mazzafegato con il Leberwurst, il tipico salame tedesco a base di fegato di maiale e vitello.

Ma la possibilità che il salume umbro sia l’erede di quello tedesco appare poco probabile; più plausibile, invece, l’ipotesi che il Mazzafegato sia nato per una ragione pratica, ovvero la necessità di consumare la carne che avanzava dalla lavorazione dei salumi umbriprosciutto, salsicce, porchetta –, insieme alle parti meno pregiate del maiale. Ancora oggi, infatti, come avveniva secoli fa, questo salume si ottiene dalla cosiddetta “ripulitura da banco”, i ritagli che restano sul bancone dopo la macellazione dei suini, che vengono tritati grossolanamente assieme al fegato e alla cotenna – eventualmente aggiungendo altri tagli poveri come cuore e polmone – e conciati con sale, pepe, aglio, scorza di limone o di arancia e abbondante finocchietto selvatico. Con l’insaccatura nel budello naturale di suino – chiamato “torto” – e la legatura, si ottengono piccole salsicce lunghe una decina di centimetri e larghe tre, messe ad asciugare per una settimana e poi pronte al consumo – nel caso dei Mezzafegati freschi – oppure stagionate per due mesi – per quelli secchi.

Fino a qualche decennio fa molto diffuso in Umbria e nelle regioni vicine, negli ultimi tempi questo salume ha perso consensi tra il pubblico, ormai poco abituato ad apprezzare sapori così complessi e robusti. La produzione tra Città di Castello e Umbertide, però, non si è mai fermata e oggi è tutelata da Slow Food, che ha inserito il Mazzafegato tra i suoi Presidi, per scongiurarne la scomparsa e farlo conoscere anche nel resto della Penisola.

 

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