Una ricetta ideale nella stagione invernale, quando il clima freddo e piovoso invita ad assaporare piatti caldi e sostanziosi per ritemprare corpo e spirito.
Arriva dalle campagne di Verona il risotto al tastasal, considerato tra i piatti più rappresentativi della cucina veneta. A Trevenzuolo, Vigasio, Castelnuovo del Garda e negli altri comuni del veronese non c’è ristorante che non lo includa nel menu, servendolo con un bicchiere di Valpolicella Superiore, corposo rosso DOC dal caratteristico sentore di mandorle amare, o di Valdadige Rosso. È cucinato con il Riso Vialone Nano IGP, una pregiata varietà coltivata nella bassa veronese, perfetta per i risotti: i chicchi di media grandezza e ricchi di amido, infatti, resistono bene alla cottura e assorbono ogni tipo di condimento.
Il protagonista del piatto è il tastasal, un impasto di pancetta e spalla suina macinati finemente e aromatizzati con sale e pepe nero, nato in tempi lontani per un’esigenza pratica: quella di tastare – da cui il nome – il livello di salagione della carne prima di insaccarla per produrre i salumi tipici della zona, come la soppressa vicentina – dal 1992 tutelata dal marchio DOP –, dall’intenso profumo di chiodi di garofano, cannella, aglio e rosmarino e dal sapore tendenzialmente dolce, la brasolara, simile alla soppressata ma stagionata più a lungo, per almeno dieci mesi, e le salamelle, salsicce fresche che troviamo in tutto il Nord Italia.
Per assaggiare l’impasto prima di insaccarlo, i masciari – i norcini nel dialetto locale – veneti inventarono un goloso procedimento: ne prendevano una parte e la rosolavano con abbondante burro, aglio e cipolla affettata finemente; a parte cuocevano il riso nel brodo di carne, poi aggiungevano il ragù di macinato e mantecavano il tutto con grana padano grattugiato e con un pizzico di noce moscata. Il risotto veniva preparato anche dalle massaie veronesi, in molte abitazioni private, dove un tempo l’allevamento dei suini per il consumo domestico era una pratica diffusissima.
Oggi il tastasal non viene più prodotto a casa, ma è venduto ancora da numerose macellerie di Verona e dintorni; fa parte anche della tradizione gastronomica di Vicenza, con il nome di “pasta di salame”, che viene impiegata per condire i bigoli, grossi e ruvidi spaghetti fatti a mano, o i gargati, maccheroncini corti impastati con farina di grano tenero, semola e uova.