Nel 1700 il Vomero, oggi uno dei quartieri più densamente popolati di Napoli, era una delle colline più fertili del territorio Vesuviano, assieme ai terreni alle falde del vulcano. Vi pascolava una pregiata razza di mucche da cui i contadini ricavavano il latte per produrre il caciocavallo, denominato così perché una volta prodotte le forme di questo cacio (formaggio), venivano legate a coppie e appese “a cavallo” di lunghe assi di legno a stagionare, così come vengono vendute ancora oggi. A causa della mancanza di pascoli, per sviluppare ulteriormente le produzioni di un formaggio che era già famoso e richiesto anche fuori città, furono scelti altri terreni adatti ai loro allevamenti sui Monti Lattari dove, però, già era conosciuta e viveva da oltre 2000 anni la razza agerolese. Quei contadini/casari iniziarono a produrre il loro caciocavallo con il latte delle nuove colonie in Penisola sorrentina scoprendo che aveva un sapore e un gusto, oltre che una pasta, di gran lunga superiore a quello prodotto con il latte delle mucche napoletane. Per distinguerlo rispetto al caciocavallo classico e in base anche ai tempi di maggiore maturazione e stagionatura, preferirono privarlo della testina, caratteristica del caciocavallo.