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Nel 1700 il Vomero, oggi uno dei quartieri più densamente popolati di Napoli, era una delle colline più fertili del territorio Vesuviano, assieme ai terreni alle falde del vulcano. Vi pascolava una pregiata razza di mucche da cui i contadini ricavavano il latte per produrre il caciocavallo, denominato così perché una volta prodotte le forme di questo cacio (formaggio), venivano legate a coppie e appese “a cavallo” di lunghe assi di legno a stagionare, così come vengono vendute ancora oggi. A causa della mancanza di pascoli, per sviluppare ulteriormente le produzioni di un formaggio che era già famoso e richiesto anche fuori città, furono scelti altri terreni adatti ai loro allevamenti sui Monti Lattari dove, però, già era conosciuta e viveva da oltre 2000 anni la razza agerolese. Quei contadini/casari iniziarono a produrre il loro caciocavallo con il latte delle nuove colonie in Penisola sorrentina scoprendo che aveva un sapore e un gusto, oltre che una pasta, di gran lunga superiore a quello prodotto con il latte delle mucche napoletane. Per distinguerlo rispetto al caciocavallo classico e in base anche ai tempi di maggiore maturazione e stagionatura, preferirono privarlo della testina, caratteristica del caciocavallo.

 

Come nasce il nome...

Quei contadini, dopo averlo prodotto, dai Lattari partivano per Napoli per vendere i loro caciocavalli. In città molti arrivavano via mare, considerata la strada più agevole e sicura, oltre che veloce, partendo dal porto di Castellammare di Stabia. Venendo dalla montagna e dovendo affrontare il mare all’alba e dunque per proteggersi dal freddo e dall’umidità, erano soliti coprirsi con un mantello di tela di sacco, che era simile al saio indossato dai monaci. I mercanti o semplici acquirenti che si recavano al porto per acquistare il pregiato formaggio, alla loro vista urlavano “i monaci, i monaci”.  E così, dai primi anni del 1700, questo formaggio è denominato “caciocavallo del monaco”.

 

Come si ottiene

provolone1Il “Provolone del Monaco” si prepara ancora come nel 1700, seguendo il procedimento dei contadini vomeresi. Rispetto ad altri formaggi e lo stesso caciocavallo, si riscalda il latte per ottenere una cagliata maggiormente cotta. La particolarità, però, è la maturazione che deve avvenire lentamente, senza conservanti né fermenti (molto utilizzati oggi per accellerare la produzione di formaggi). Quando il formaggio è abbastanza maturo, e prima di iniziare la stagionatura, si effettua la modellatura, dando all’impasto la caratteristica forma melone leggermente allungato e senza testa. La stagionatura, inizia dopo aver salato e asciugato il provolone, appendendolo nelle caratteristiche funi rigorosamente in grotta secondo il disciplinare di produzione. Molto suggestiva, ad esempio, la grotta in cui stagiona i suoi provoloni del monaco il famoso chef Don Alfonso Iaccarino di Sant’Agata sui due Golfi, ricavata in un vecchio pozzo, a cui si accede scendendo a circa 30 metri.

Il provolone del monaco, secondo il Disciplinare, oggi è prodotto in 13 comuni della Penisola sorrentina: Agerola, Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massalubrense, Meta di Sorrento, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sorrento, Santa Maria La Carità e Vico Equense. Considerato tra i più pregiati formaggi italiani.

 

In cucina

Il Provolone del Monaco si apprezza mangiato al taglio, con del pane cotto a legna. Impiegato nella cucina campana per preparare la famosa pasta e patate, di cui è ingrediente fondamentale, perché conferisce gusto e sapore. Ma oggi sono tante le ricette in cui chef più o meno noti della penisola sorrentina lo utilizzano: dal ripieno dei cannelloni, ai peperoni o pomodori imbottiti, ma anche – tagliato a dadini – in insalate. E’ spesso servito con vino rosso di Lettere o di Gragnano.

 

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