
“Le fette de pagnotte un po’ rifatte / vanno tajate inerte, no a sfojetta / come er’ pane che chiameno a cassetta. / Quelle nun ponno mai rimane intatte. / E mo ve spiego come vanno fatte: / S’hanno da mette in una terinetta / a mollo a no sbattuto d’ova e latte / e ce se fanno stà na mezzoretta. / Quanno ch’er Pane è bene imbeverato, / s’indora fritto all’ojo o a tutto buro / p’avé diritto ar nome ‘Pandorato’. / Certo chi soffre de colesterina / e nun se vò aggravà, rinunci puro, / e vadi a letto con la minestrina”.
Grosse fette di pane raffermo – quelle “un po’ rifatte” – ammorbidite con latte e uova battute e fritte nello strutto: ecco il Pandorato. Questo cibo povero della tradizione del Lazio, nato per recuperare le pagnotte del giorno precedente oppure l’uovo avanzato dopo le fritture, conquistò il cuore e il palato del grande Aldo Fabrizi: e così l’attore – che era notoriamente una “buona forchetta” – gli dedicò una delle sue ricette in rima, in cui spiegava accuratamente come cucinare alcuni dei piatti più famosi della cucina romanesca e non solo. Non era certo una preparazione “leggera”, perciò, scherzosamente, Fabrizi ne sconsigliava il consumo a quanti soffrissero di “colesterina”!

Il pandorato non era diffuso soltanto nelle case di Roma e dintorni, ma anche in quelle della vicina Ciociaria. Qui le massaie diedero origine alla variante imbottita, che chiamarono “cuscinetti di pandorato”: le fette di pane, dello spessore di due o tre centimetri, venivano tagliate da un lato formando una sorta di tasca e farcite con filetti di acciughe e “provatura”, poi passate nel latte e nell’uovo e fritte. La provatura era un formaggio a pasta filata di latte bufalino o vaccino simile alla mozzarella, chiamata così perché veniva prodotta proprio per testare, per “provare” la qualità della filatura prima di dar forma agli altri latticini.
Con il tempo la ricetta dei cuscinetti, che in passato i contadini mangiavano alle prime ore del mattino, per fare scorta di energia prima di iniziare una lunga giornata di lavoro nei campi, è leggermente cambiata: al posto della provatura, ormai difficile da reperire, si utilizza ad esempio la mozzarella o il fior di latte e talvolta le acciughe vengono sostituite dal più pregiato prosciutto crudo; spesso il pane raffermo è poi sostituito dal più morbido pan carré o pane in cassetta. Ancora oggi, comunque, nelle trattorie di Frosinone, Alatri, Roccasecca, Fontana Liri e degli altri borghi ciociari è possibile gustare uno squisito e caldissimo cuscinetto con il ripieno originale a base di alici.
La ricetta del pandorato e dei cuscinetti secondo Ada Boni
Fu la famosa gastronoma Ada Boni, nel suo ricettario La cucina romana (1930), in cui recuperò piatti tipici dimenticati della tradizione gastronomica capitolina, a descrivere la preparazione di queste due autentiche golosità. Ecco quella del pandorato: “Si tagliano delle fette di pane tenendole spesse un dito e ricavandone, dopo aver portato via la crosta, dei pezzi quadrati di circa 6 cm di lato. Si allineano queste fette in un piatto e si spruzzano leggermente di latte tiepido per ricoprirle poi con uno o più uova sbattute, secondo la quantità del pane dorato da farsi. Alle uova sbattute si aggiunge un pizzico di sale. Si lasciano queste fette così almeno per un’ora, per dar modo al pane di assorbire completamente l’uovo. Poi si sollevano le fette ad una ad una per mezzo di una palettina e si immergono nella frittura”.
Subito dopo la Boni riporta quella dei cuscinetti: “Si tagliano delle fette di pane non troppo bucherellate in larghi pezzi quadrati o rettangolari, si porta via tutta la crosta e poi con un coltello tagliente si apre la fetta in due senza però separare le due parti. Si mette nell’interno qualche fettina di provatura e qualche filettino di alici, oppure qualche fettina di provatura e qualche fettina di prosciutto. Si infarinano leggermente i cuscinetti infarinando anche l’apertura, si tuffano per un attimo in un po’ di brodo tiepido o latte e si allineano in un piatto largo ricoprendoli di uova sbattute. Si lasciano così almeno un’ora affinché possano bene impregnarsi di uovo e poi si friggono, pochi alla volta, nello strutto bollente. Si lasciano sgocciolare, si spruzzano leggermente di sale e si accomodano in un piatto con salvietta. Vanno mangiati caldissimi”.