Famoso quanto quello di Altamura o quello “cafone” napoletano, il Pane Carasau è uno dei più conosciuti e apprezzati pani del Belpaese. Protagonista indiscusso dell’alimentazione sarda, rappresenta la base di ricette della tradizione come il pane frattau e il pane guttiau, ma anche di un’ottima lasagna o di pasticci a base di verdure e ortaggi. Molto rivalutato negli ultimi anni è servito anche negli aperitivi o consumato come snack, da grandi e bambini, con salumi e formaggi.

Pane carasauOriginario delle Baronie, una subregione sarda, in provincia di Nuoro e dei territori più interni della regione del Logudoro, nel nord-ovest dell’isola, è considerato tra i pani più antichi del mondo. La caratteristica sfoglia tonda, non lievitata, sottilissima e croccante ci riporta alle prime tipologie di pane nei territori della Mesopotamia e poi del Medio Oriente, fino alla Palestina di Gesù.

Il pane Carasau è il pane dei pastori perché è in grado di conservarsi per molto tempo. La pastorizia, infatti, obbligava gli uomini a trascorrere lunghi periodi lontano da casa per pascolare le greggi; e siccome, come dicevano i latini, mater artium necessitas (“la necessità è la madre delle arti”, ovvero “aguzza l’ingegno”), le loro mogli “inventarono” che manteneva inalterate a lungo le sue caratteristiche, utilizzando soltanto la farina di grano duro (o di orzo, che costava meno) e l’acqua. Nei mesi passati tra i pascoli i mariti lo consumavano con la ricotta, con il formaggio di capra o di pecora, servendosi della sfoglia come piatto e mangiandola alla fine, quando il companatico era ormai terminato. Alcuni ritrovamenti archeologici fanno ritenere con molta probabilità che si producesse già nell’età del bronzo, agli albori della civiltà nuragica.

Questo pane ha alle spalle una storia fatta dei sacrifici e del duro lavoro non solo dei pastori ma anche delle donne, che per prepararlo seguivano un faticoso procedimento.

 

Il rito della preparazione

Il processo di lavorazione è il vero elemento distintivo del Carasau. La sua preparazione, un rito chiamato in sardo “sa cotta”, coinvolgeva almeno tre donne – sorelle, cugine, vicine di casa – che si aiutavano a vicenda oppure ricompensavano il favore con beni in natura, come olio o ricotta. In alcuni casi partecipava alla lavorazione anche una panificatrice esperta, che veniva però pagata in denaro dalla padrona di casa.

Le massaie si riunivano alle prime luci dell’alba e cominciavano a impastare energicamente e a lungo la farina con l’acqua, all’interno delle madie (contenitori di legno), fino a ottenere un composto liscio e solido. L’impasto era poi fatto riposare per alcune ore dentro conche di terracotta e successivamente suddiviso in pezzi regolari e tondi che venivano schiacciati con l’aiuto di un piccolo matterello di legno, fino a raggiungere un diametro di circa 40 centimetri (ma spesso questo variava in base alla zona) e uno spessore sottilissimo, di appena 2 o 3 millimetri.

I dischi erano cotti nel forno a legna a una temperatura altissima (tra i 450 e i 500 gradi), che provocava l’immediato rigonfiamento della sfoglia, facendola diventare simile a un pallone. A questo punto le donne toglievano il pane dal forno e, con un coltellino affilato, dividevano la sfoglia superiore (che si era formata in cottura) da quella inferiore, ricavando due dischi uguali. I fogli erano poi impilati, divisi l’uno dall’altro da teli di lino che evitavano di farli attaccare tra loro, e lasciati raffreddare.

Trascorso il tempo necessario, iniziava l’ultima fase del procedimento, la “carasatura” – quella che dà il nome al pane –, ovvero la seconda cottura dei fogli di pane in forno, durante la quale questi assumevano il colore dorato ma soprattutto la consistenza leggerissima, i puntini bruni in superficie e la caratteristica di “scricchiolare” al palato – particolari grazie ai quali è diventato celebre anche con il nome di “carta da musica”.

Negli anni alla ricetta originale sono stati aggiunti il sale e il lievito, che comportava naturalmente una lunga lievitazione – di almeno sei ore. Tuttora in alcune famiglie sarde – che hanno ancora il forno a legna nelle proprie abitazioni – il pane carasau viene fatto in casa, seguendo questo antichissimo procedimento tramandato da madre a figlia.

 

Pane frattau e pane guttiau

Sono i due modi più famosi di gustare la carta da musica: nel pane frattau, la sfoglia va bagnata velocemente in una pentola di acqua bollente (o nel brodo di carne per un risultato più saporito) e poi condita con sugo di pomodoro, un uovo in camicia e formaggio fresco grattugiato; per preparare il pane guttiau, invece, basta ammorbidire il foglio con qualche goccia di olio extravergine d’oliva e poi passarlo in forno per un paio di minuti per farlo dorare, con un pizzico di sale.

Il pane carasau può essere gustato al naturale – cioè secco – oppure bagnato per pochi secondi (non deve assorbire troppo liquido) in acqua o brodo e fatto sgocciolare tenendolo in posizione verticale. Accompagna i salumi, formaggi e piatti di carne, ma è ottimo pure insaporito semplicemente con rosmarino fresco, olio e uno spicchio d’aglio.

 

La ricetta (senza lievito)

Ingredienti

1 kg di farina di grano duro
Acqua (quella assorbita dalla farina)

Procedimento

Lavorate la farina con acqua, fino a ottenere un impasto liscio e dalla consistenza soda, da dividere in pezzi più piccoli. Stendete ciascun panetto con il matterello o con le mani riducendolo in un foglio sottilissimo di forma circolare. Lasciate riposare i dischi per un paio d’ore su un canovaccio, coperti da un panno di lana. Cuoceteli, uno alla volta, in forno caldissimo per pochi secondi e aspettate che su gonfino; a questo punto tagliate la parte rigonfia con un coltello affilato, ricavando così da ogni disco due sfoglie. Depositate le sfoglie una sull’altra e lasciatele raffreddare, infine ripassatele in forno per farle diventare croccanti.

 

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