Merenda ante litteram, per soldati e cavatori, il lardo è il grasso alimentare di gran lunga più utilizzato nella storia. Quello di Colonnata è tra i più pregiati. Oggi è un prodotto molto diffuso in cucina, da consumare al taglio, con un po’ di pane, preferibilmente caldo, o come ingrediente di primi, secondi, contorni e anche dessert. È di qualche giorno fa, infatti, la notizia della creazione del gelato al lardo di Colonnata, presentato in occasione della tappa veronese del Gelato Festival.
Il Lardo di Colonnata negli ultimi anni ha avuto il merito di far riscoprire e utilizzare in cucina questo prodotto della lavorazione del maiale quasi scomparso, demonizzato dall’inizio degli anni ’80 dalle campagne contro il colesterolo, dopo esser stato per secoli protagonista indiscusso di mille ricette.
Michelangelo Buonarroti ne era un grande estimatore e, nel corso dei viaggi a Carrara – quando sceglieva personalmente i blocchi di marmo per realizzare i suoi capolavori – ne faceva enormi scorpacciate. Per assaporare al meglio la delicatezza del prelibato salume, l’ideale è mangiarlo tagliato a fettine sottilissime sul pane, preferibilmente caldo, come facevano un tempo i coloni romani addetti all’estrazione del marmo e poi i cavatori alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, su crostoni abbrustoliti con qualche pezzetto di pomodoro.
Le Larderie, un’istituzione
A Colonnata, come in molti altri piccoli centri della Toscana, il lardo lo si acquista nelle Larderie, norcinerie specializzate nella produzione e vendita del celebre salume. Una vera e propria istituzione dove è possibile anche gustare piatti a base di lardo, come le zuppe di cereali e legumi “allardiate”.
Fino a qualche decennio fa era considerato un alimento povero, impiegato per arricchire e rendere più “calorici” piatti della tradizione toscana come i taglierini con i fagioli o il minestrone, preparato con il cavolo verza, patate, fagioli e la cotenna del lardo, appunto. Oggi, oltre che nelle ricette della tradizione, lo ritroviamo all’interno di numerosissime preparazioni: dai primi (come le tagliatelle con i ceci, gli spaghetti con pomodoro fresco e pecorino, le linguine con aglio e peperoncino) ai secondi (involtini di pollo, maiale in crosta, filetto di manzo, carré d’agnello), passando per i crostoni di polenta e le insalate (con finocchi e arance, con lattuga e aceto balsamico, con misticanza e radicchio), perfette in questa stagione perché più leggere e digeribili.
È poi protagonista di raffinati e “audaci” abbinamenti con il pesce e i crostacei (salmone alla brace, filetti di branzino, mazzancolle, gamberoni, astice, coda di rospo, capesante) e può essere conservato sott’olio, con l’aggiunta di salvia, rosmarino e peperoncino fresco.
Il segreto è nella stagionatura
La lavorazione del lardo – al quale è data una forma rettangolare, con uno spessore di almeno tre centimetri – avviene entro 72 ore dalla macellazione: la carne viene massaggiata con sale marino e messa a stagionare per almeno sei mesi dentro particolari vasche di marmo (chiamate “conche”), precedentemente strofinate con aglio. Nel contenitore viene posto un primo strato di lardo, poi ricoperto con pepe fresco macinato, rosmarino fresco e aglio spezzettato; si procede così a strati, fino a riempire l’intero recipiente, che è infine ricoperto con una lastra di marmo. Proprio il marmo di cui sono fatte le conche, poste all’interno di cantine scavate nella roccia, è un elemento indispensabile per la buona riuscita del prodotto, dal momento che favorisce il condensamento dell’umidità e quindi la trasformazione del sale in salamoia.
La carne proviene esclusivamente dai maiali maschi della Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, Lazio e Molise, le regioni storicamente dedite all’allevamento del suino pesante, mentre il taglio utilizzato è quello corrispondente allo strato adiposo (ripulito dalla parte sugnosa) che ricopre il dorso dalla regione occipitale, fino alle natiche.
La felice posizione geografica di Colonnata, che sorge alla pendici delle Alpi Apuane, a 550 metri sul livello del mare, è ciò che contribuisce a rendere davvero unico questo salume. Il piccolo borgo – conta appena 350 abitanti – è baciato dal sole anche nei mesi invernali, mentre in estate qui soffia una dolce brezza marina grazie alla quale il clima resta sempre gradevole e mai afoso. Le temperature miti tutto l’anno, anche per merito di una folta vegetazione, sono ideali per la stagionatura del prodotto, che necessita di umidità elevata ed escursioni termiche limitate per giungere alla giusta maturazione.
Dal 2004 ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta, che ne certifica l’autenticità e vigila sul secolare processo di produzione.
La storia
Secondo una delle due versioni storiche sulle sue orgini, il consumo del Lardo di Colonnata iniziò a diffondersi dal 177 a.C., quando i Romani stabilirono una colonia a Luni da dove, qualche anno più tardi, iniziarono a trasferire schiavi nelle Alpi Apuane per l’estrazione del marmo dalle cave, che serviva per costruire palazzi e statue a Roma. Tra le diverse fonti c’è n’è una del 534 d.C, il Codice di Giustiniano, in cui è scritto che i legionari consumavano una razione di lardo ogni tre giorni. Un’altra leggenda sulle origini del Lardo di Colonnata narra che la sua produzione è da attribuire ai Longobardi, che avviarono la lavorazione del maiale in Toscana durante l’occupazione dell’Italia Centrale, nel VI secolo d.C.