Gli americani la chiamano sexy cheese. Mentre Alberto Marcomini, tra i maggiori esperti e affinatori di formaggio, unico italiano ad essere insignito in Francia del titolo di maitre fromager, il prestigiosissimo diploma di cavaliere dei «Taste-fromages de France», già dieci anni fa definì la Burrata il formaggio ideale degli innamorati, per quel contrasto tra il “sacco” esterno e il “cuore di panna”.

Burrata Di bufala o più comunemente vaccina la Burrata è un formaggio fresco nato nei primi decenni del ’900 ad Andria, nell’Altopiano della Murgia, che in meno di un secolo ha conquistato le tavole italiane e non solo. Due i modi per gustarla al meglio: al naturale, condita semplicemente con un pizzico di sale, una spolverata di pepe e un filo d’olio extravergine di oliva delle terre salentine, oppure accompagnata da una fetta del celebre pane di Altamura.

La Burrata è tornata recentemente alla ribalta grazie allo chef Antonino Cannavacciuolo – conduttore della versione italiana di Cucine da incubo sul canale satellitare Fox Life – che la serve con un’insalata “liquida” di scarole e con pane nero di Fobello (Vercelli), mentre l’Accademia Italiana degli Chef di Firenze la propone addirittura con il pesce, in una raffinata millefoglie di salmone fresco e punte di asparagi.

E, ancora, Domenico Silvestri, dell’esclusivo Parco Domingo di Gravina, la utilizza a tutto pasto e con la burrata realizza pure il dessert, accompagnandola a fichi caramellati, frutti rossi o amarene (se siete in cerca di spunti, le creative preparazioni dello chef pugliese sono disponibili in un ricettario online realizzato in collaborazione con il Caseificio Murgella di Putignano).

Ma la burrata continua a farsi strada nei banchi dei formaggi freschi, sulle tavole e in cucina. Oggi la si trova nelle migliori gastronomie italiane, le salsamenterie e, ovviamente, le salumerie. I pugliesi amano impiegarla per dare carattere a numerosi primi: dai capunti – l’appellativo con il quale qui vengono indicati i cavatelli – con pomodorini e basilico alle farfalle con asparagi cotti al vapore e insaporiti in un trito di olio e scalogno, dalle orecchiette con le cime di rapa o con verza e salsicce, adatte alla stagione invernale, ai risotti, fino a una semplice pasta mantecata “soltanto” – si fa per dire – con una spolverata di Parmigiano grattugiato e burrata. È ottima pure nelle insalate – con rucola e noci o in una versione alternativa della Caprese –, come ripieno di tortelli o ravioli, abbinata a verdure a foglia verde o agli ortaggi grigliati, sulle bruschette o sulla focaccia. Da provare l’abbinata con le acciughe o alici salate, fresca o leggermente sciolta su fette di pane caldo o crostini. Sublime sulla pizza, purché venga impiegata in piccole quantità.

 

È formaggio ma sembra latticino

Riduttivo definirla un semplice formaggio fresco, perché la burrata è il trait-union tra i latticini e i formaggi, un autentico piacere per le papille gustative, che coinvolge sin dal primo morso: composta da un involucro esterno di pasta filata (simile alla mozzarella) racchiude, infatti, un cremoso cuore di stracciatella – pezzi di fiordilatte “stracciati” a mano e mescolati con panna freschissima – che si scioglie in bocca e avvolge il palato con un sapore delicato e pieno al tempo stesso, con una lieve punta acidula. Dalla caratteristica forma a sacchetto o caciocavallo, viene richiusa con steli di vizzo, un’erbetta che cresce spontaneamente nei dintorni di Andria e bilancia il gusto del latte con una nota aromatica, oppure avvolta in foglie di asfodelo, una pianta mediterranea diffusa in Puglia, Sicilia e Sardegna.

 

Un formaggio giovane

La burrata è un formaggio relativamente giovane: nacque, infatti, negli anni Venti del secolo scorso nei locali della Masseria Piana Padula di Andria – conosciuta anche come Masseria Bianchini e in seguito Caseificio Chieppa –, dalle mani esperte del casaro Lorenzo Bianchino Chieppa, che “inventò” un nuovo formaggio riproducendo la forma della manteca (una sorta di scamorza ripiena di un cuore di burro), ma utilizzando come involucro la pasta filata e come ripieno sfilacci di mozzarella affogati nella panna. Secondo altre fonti, ebbe origine invece per un motivo pratico, ovvero per recuperare i ritagli di pasta filata avanzata dalla preparazione degli altri latticini.

Le prime burrate erano prodotte con latte di bufala, che più tardi fu sostituito da quello di vacca dell’antica razza Podolica (importata dagli Unni nel 452 d.C. e allevata in Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) e poi dalla Frisona, più produttiva. Al termine del secondo conflitto mondiale il successo della burrata era già enorme, tanto che essa compariva in tutti i caseifici della Puglia ed era esportata a Milano e Roma; proprio nella Capitale, in occasione di un pranzo ufficiale, fu assaggiata dallo Scià di Persia, che se ne innamorò perdutamente e da allora cominciò a inviare regolarmente un aereo nel nostro Paese, per non farla mai mancare alla sua tavola.

Oggi è presente nei caseifici dell’intera Puglia, insieme ad altri prodotti del territorio come la giuncata (chiamata così per la fascera di giunco in cui era originariamente conservata), il caciocavallo silano, il fallone di Gravina (a pasta molle), il canestrato, ed è stata inserita dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione.

 

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