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Castel di Sasso, nell’Alto Casertano, è un borgo collinare di 1200 anime che fa parte della Comunità del Monte Maggiore, immerso in un paesaggio naturalistico che ha conservato una bellezza e una tranquillità d’altri tempi. Qui nasce quello che è considerato uno dei caci più antichi d’Italia: il Conciato romano, un formaggio tondo di piccole dimensioni, dalla pasta dura e dal gusto indimenticabile. ‘Romano’ perché viene prodotto con una tecnica ereditata dagli antichi – ne parlavano, infatti, già Cicerone e Marziale –, che consiste nel farlo stagionare in anfore di terracotta, dopo averlo ‘conciato’, ovvero condito con una miscela di olio d’oliva, aceto, peperoncino e piperna, un’erbetta di origine ischitana. Dopo la permanenza negli orci, il Conciato si impregna di sentori di erbe e fieno, per poi ‘resuscitare’ – come avviene per il pecorino di fossa – con un odore pungente e un sapore intensissimo, quasi piccante.

Non è semplice abbinare un formaggio dalla forte personalità come il Caso conzato – così viene chiamato in Campania – ad altri cibi: il modo migliore per gustarlo è in purezza, su una fetta di pane ‘cafone’, la grossa pagnotta campana impastata con farina e semola e cotta nel forno a legna, dalla crosta croccante e dalla mollica corposa e profumata. Per veri intenditori le accoppiate con un miele fortemente aromatico come quello di castagno o di corbezzolo, o ancora con la confettura di fichi o di limoni – la prima, dolcissima, rende più gentile il sapore del Conciato, mentre la seconda, più aspra, crea un contrasto gradito ai palati più esigenti.

Ma il Caso può essere impiegato anche per dare carattere a piatti di pasta semplici, per esempio tagliato a scaglie sugli scialatielli con la zucca – una pasta fresca della Campania simile a grossi spaghetti dalla forma irregolare –, oppure seguendo il suggerimento della chef stellata Rosanna Marziale, che nel suo ristorante “Le Colonne” di Caserta lo utilizza grattugiato sullo Scarpariello, un piccolo timballo di bucatini spezzati e pomodori grigliati.

E pure due pizzaioli famosi si sono dilettati a rendere uniche le loro creazioni con il prelibato formaggio: Gino Sorbillo, nella puntata de La Prova del Cuoco del 19 febbraio scorso, lo ha abbinato ai pomodori gialli del Vesuvio, mentre Giuseppe Vesi, nella pizzeria “Gourmet” di Viale Michelangelo a Napoli, a giugno ha proposto tre variazioni sul tema (con fiordilatte di Agerola, pomodorini gialli del Vesuvio, del piennolo DOP e di Corbara; con fiordilatte di pezzata rossa italiana e gamberi rosa del Mediterraneo; con fiordilatte di pezzata rossa italiana e agretti laziali).

 

Conciato con l’acqua delle pettole

Nonostante l’appellativo di Conciato ‘romano’, secondo alcuni il metodo di produzione di questo formaggio fu introdotto addirittura dai Sanniti, la popolazione italica che in epoca pre-romana si stanziò tra la Campania nord-orientale, la Puglia Settentrionale, parte del Molise e del basso Abruzzo. Seppure non ci siano fonti certe al riguardo, alcuni elementi, come la rottura della cagliata a mano e la lunga conservazione in orci di coccio, fanno pensare comunque a un procedimento antichissimo, nato insieme ai primi pastori, che rimane tutt’ora completamente artigianale.

Il Conciato si ricava da latte di pecora, di capra o di mucca, che in seguito alla coagulazione con caglio di capretto viene sminuzzato a mano, pressato in fuscelle di plastica – un tempo si utilizzavano quelle di vimini – e fatto asciugare per qualche settimana all’aperto. Dopo l’asciugatura, le forme sono sottoposte alla prima conciatura con l’acqua di cottura delle pettole, una pasta fatta a mano tipica della zona, che rilascia così sul formaggio un sottilissimo strato di amido, e successivamente a quella con la miscela di olio extravergine di oliva, aceto di vino Casavecchia (un vitigno autoctono della provincia di Caserta), peperoncino e piperna. A questo punto sono pronte per la stagionatura nelle anfore, che dura in media da sei a ventiquattro mesi, ma può prolungarsi per diversi anni.

A lungo dimenticato, questa prezioso pezzo della storia pastorale italiana è stato recuperato grazie a Slow Food, che lo ha inserito tra i suoi Presidi, e all’operato di due casari di Castel di Sasso, Manuel Lombardi e sua moglia Eulalia, che hanno ereditato il procedimento dalla madre di lui e da qualche anno nel piccolo borgo gestiscono un agriturismo, “La Campestre”, dove si può assistere direttamente alla produzione del formaggio. Oggi il Caso conzato viene lavorato anche nel caseificio di Carmine Bonacci a Giano Vetusto e nella “Masseria dei Trianelli” di Luciano Di Meo a Ruviano, entrambi in provincia di Caserta, e fa parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Campania.

 

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