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Morbido, succoso, speziato, con un irresistibile sentore di affumicatura che avvolge prima l’olfatto e poi il palato. Tra i piatti più stuzzicanti e antichi della cucina umbra c’è il cicotto, originario di Grutti, una piccola frazione – conta appena cinquecento abitanti – di Gualdo Cattaneo, in provincia di Perugia. È ottenuto dai tagli meno pregiati del maiale – orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre interiora –, cotti a lungo nel forno a legna, con un procedimento singolare che rende questa specialità straordinariamente tenera e profumata.

La carne, proveniente dai suini “felici” allevati nella zona della media Valle del Tevere, nutriti esclusivamente con cereali locali, viene disossata a mano con grande abilità dai maestri norcini, posta all’interno di una vasca e poi nel forno in cui avviene la cottura della porchetta, proprio al di sotto di essa, raccogliendo così il grasso e l’aroma intenso delle spezie impiegate per insaporire il maialino, ovvero rosmarino fresco, finocchietto selvatico, pepe nero e aglio rosso del comune di Cannara. Al termine del lento processo, che dura dalle nove alle dodici ore, il composto viene privato del grasso in eccesso; una volta raffreddato, può finalmente incontrare il pane “sciocco” di Terni – le tipiche pagnotte senza sale umbre, vendute nell’intera regione, ideali per bilanciare il sapore importante del cicotto – ed essere gustato come cibo di strada.

La tradizione del cicotto si tramanda di padre in figlio da almeno cinque secoli: la prima menzione ufficiale, infatti, risale al 1570, quando Bartolomeo Scappi, cuoco dei papi Paolo III e Pio V, dà alle stampe l’Opera, un imponente ricettario in sei volumi in cui, con questo termine, identifica il cosciotto e la zampa del maiale. In passato ogni famiglia, a Grutti, lo preparava, cuocendolo nel forno comunale – tuttora esistente ma in disuso –, dal quale si spandeva continuamente una fragranza che invadeva la piazza e le stradine del piccolo borgo medievale. Gli abitanti del luogo lo utilizzavano per dare sapore alle zuppe di legumi, soprattutto di ceci e fagioli, o in un insolito abbinamento con le lumache di terra, particolarmente diffuse nel ternano. E siccome nulla veniva gettato via, il grasso colato – chiamato ‘ntocco in dialetto – era impiegato per condire la pasta e per dare sostanza a sughi, minestre e piatti poveri.

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Col tempo, invece, il cicotto è diventato un’autentica rarità, tanto che oggi è prodotto da tre sole imprese di Grutti e dal 2012 è tutelato dal presidio Slow Food, che ne promuove la conoscenza e la vendita nei mercati regionali. Viene preparato secondo il metodo originale e venduto come street food nella macelleria di Maurizio Biondini, nella piazza del paese, nel laboratorio di Enrico Natalizi e dei figli Rosella e Fabrizio, maestri della porchetta, che con due furgoncini portano in giro le loro bontà nei borghi del basso Tevere, e nella norcineria di Luca e Mauro Benedetti.

Il cicotto in scena a Firenze

Per assaggiare il prelibato cicotto l’appuntamento è da venerdì 21 a domenica 23 novembre nel Giardino dell’Orticultura di Firenze, dove andrà in scena Cucine di Strada – Beer&Street Food, il festival che unisce i più golosi cibi di strada italiani e stranieri all’eccellenza della birra artigianale.

Trenta le specialità – e le birre – da gustare, dalle “istituzioni” nostrane come olive ascolane, tigelle e gnocco fritto emiliano, lampredotto fiorentino, arancine e panelle siciliane, fino a piatti internazionali come il burrito e il taco del Messico e il couscous marocchino.

 

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