Con un sostanzioso ragù a base di macinato di manzo e maiale, rigaglie di pollo e midollo di bue; con un semplice sughetto di pomodoro fresco; o ancora alla marinara, con cozze, vongole e pomodorini. I Maccheroncini di Campofilone fanno parte della tradizione gastronomica di questo borgo medievale in provincia di Fermo da tempi lontanissimi. Comparivano tra i 49 piatti preferiti del Leopardi (che egli elencò personalmente in una lista oggi conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli), insieme a “gnocchi di latte”, “tortelli di magro” e “capellini al burro”. Ma, molto prima della testimonianza lasciata dal grande poeta, erano già citati in un documento dell’Abbazia di Campofilone (XV secolo), in alcuni scritti del Concilio di Trento (1545-1563), dove venivano definiti “così sottili da sciogliersi in bocca”, e nei ricettari di varie famiglie della nobiltà marchigiana.
A Campofilone sono considerati da sempre la pietanza delle feste per eccellenza, ma anche un regalo da riservare agli amici più cari. Nei documenti più antichi erano chiamati “Maccheroncini fini fini” o “Capelli d’angelo”, mentre la dicitura attuale iniziò a circolare solo ai primi del ’900, in alcune locande della zona.
La loro unicità sta nella lunghezza, che parte da 35 centimetri e può raggiungere i 60, e nello spessore sottilissimo – compreso tra 0,3 e 0,7 millimetri – che consente tempi di cottura molto brevi, di appena uno o due minuti, in acqua, direttamente nel sugo o, secondo la consuetudine invernale, nel brodo di cappone. Hanno una consistenza porosa conferita dall’alta percentuale di uova utilizzate nell’impasto (10 per ogni chilo di farina) e dal delicato procedimento di essiccazione, che permette loro di assorbire una quantità superiore di condimento rispetto ad altri formati, risultando perciò particolarmente saporiti. Per assaggiarli in tutti i modi dal 1964, nei primi giorni di agosto, Campofilone ospita una sagra interamente dedicata a questa specialità, che richiama ogni anno ben 20mila visitatori.