Grissini e prosciutto crudoLeggeri e fragranti, sono protagonisti di aperitivi e happy hour, avvolti dalla classica fetta di prosciutto crudo o accompagnati da altri salumi.

Ma i grissini torinesi non possono essere definiti un semplice stuzzichino: nel capoluogo piemontese vengono consumati in ogni momento della giornata, dalla colazione, inzuppati nel cappuccino o “tuffati” nella marmellata, ai pasti principali, spezzettati nelle minestre o nel brodo, per arrivare al dessert, immersi nella golosa crema gianduia. E naturalmente non possono mancare nell’antipasto, uniti ai formaggi locali come il tomino o la toma, il taleggio o il Murazzano.

Tra i prodotti made in Italy più esportati oltreconfine e apprezzati all’estero, i friabili bastoncini hanno alle spalle un’origine curiosa legata alla dinastia sabauda e risalente a oltre trecento anni fa. Secondo la tradizione, il piccolo Vittorio Amedeo II di Savoia, futuro re di Sardegna, era un bambino dalla salute particolarmente cagionevole, tanto da non riuscire neppure a digerire la mollica del pane. Così nel 1679 il suo medico personale, Teobaldo Pecchio, incaricò Antonio Brunero, un fornaio di Lanzo Torinese, di “inventare” un pane alternativo adatto al suo stomaco delicato ed egli ne realizzò uno dalla forma allungata e sottile, completamente privo dell’indigesta mollica.

Al di là del racconto leggendario, i grissini furono in realtà un’evoluzione dalla ghersa o grissia, una pagnotta a base di farina di segale, orzo e frumento presente sulle tavole piemontesi sin dal Trecento: negli anni questo filone stretto e allungato, che nel XIV secolo costava un soldo, a causa dell’aumentare del costo della vita divenne sempre più leggero, fino a trasformarsi nel gherssin, che pur pesando meno mantenne il costo invariato.

La “piccola grissia” nacque, quindi, come un pane vero e proprio e soltanto più tardi assunse la connotazione odierna, di “sfizio” o “spezza fame”. Fu un altro membro di Casa Savoia – e non certo il popolo, che neppure durante il pranzo e la cena aveva cibo a sufficienza – il primo a sgranocchiare i grissini per puro piacere: Carlo Felice, re di Sardegna dal 1821 al 1831, li mangiava infatti per passatempo, mentre si godeva gli spettacoli al Teatro Regio. Ne erano ghiotti Luigi XIV, che fece arrivare due panettieri torinesi direttamente nella Reggia di Versailles grissiniper avere sempre grissini caldi da offrire agli ospiti durante le sue sontuose cene – ma il risultato non fu abbastanza soddisfacente – e Napoleone, che li riteneva un toccasana per la propria ulcera.

 

Lo “stirato” e il “rubatà”

Oggi in commercio i grissini sono presenti in tantissime varianti, con farine diverse da quella di frumento (ad esempio segale o kamut), all’olio d’oliva, aromatizzati al sesamo, all’origano o alle spezie (come la curcuma e il peperoncino), al finocchietto, al formaggio, alle noci e persino al cioccolato, ma le ricette tradizionali torinesi sono esclusivamente due, il “rubatà” e lo “stirato”, che si contendono il titolo di “primo grissino della storia”.

I loro nomi derivano dalla tecnica di lavorazione, ma la differenza sta pure negli ingredienti utilizzati: il rubatà (da robat, un antico attrezzo agricolo che veniva trascinato sul terreno), tipico del comune di Chieri e dintorni, è impastato con farina, lievito, malto, acqua, sale, strutto e viene arrotolato con il palmo delle mani, raggiungendo una lunghezza compresa tra 40 e 80 centimetri; lo stirato (che non ha il malto né lo strutto ed è più leggero) viene invece letteralmente tirato dal panettiere allargando le braccia, fino a diventare molto sottile e friabile. Entrambi vengono poi cotti nel forno a legna, che conferisce loro l’inconfondibile sapore e profumo.

In Piemonte sono tante le botteghe che preparano squisiti grissini artigianali e rigorosamente stirati a mano: dal “Forno dell’angolo” di Via Lurisia al “Panificio Birolo” di Via Cena, a Torino, fino al forno dei “Fratelli Cravero” di Barolo (Cuneo) – che vantano, tra l’altro, una tipologia pregiata con nocciole delle Langhe – e al “Panificio Bo” di Asti, per ricordarne solo alcuni.

I grissini dolci lombardi e i “grispolenta” friulani

Se la patria del grissino è il Piemonte, da qui i celebri stuzzichini si sono diffusi nella vicina Lombardia e nel Friuli Venezia Giulia. Quelli lombardi, tipici del pavese, sono dolci, a base di farina di grano tenero, lievito, acqua, zucchero e buccia di limone grattugiata e poi fritti in olio o strutto.

A Prisco di Socchieve, in provincia di Udine, nascono invece i “grispolenta” della Carnia, bastoncini lunghi circa 15 centimetri, impastati con farina di mais, che viene cosparsa anche sulla superficie prima della cottura, rendendoli dorati e croccanti.

 

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