Due squisite sfoglie di pasta fresca ripiene di formaggio da mangiare ben calde, cosparse di zucchero o miele: le seadas (o sebadas), sono un dolce tipico della tradizione sarda a base di semola e formaggio di pecora, il cui nome sembra derivare dalla parola latina “sebum”, a causa del suo aspetto untuoso. Molti non sanno però che quello che oggi è un delizioso dolce tradizionale era, in passato, il gustoso e nutriente piatto salato di benvenuto con cui le donne sarde, specie in Barbagia, accoglievano i loro pastori al rientro dai periodi di transumanza. Piatto tra l’altro ancora in uso, in alcuni dei paesi più conservativi dell’entroterra dell’isola, che richiama il tradizionale mondo agro-pastorale nei suoi semplici e genuini ingredienti. Il dolce sembra avere però radici ben più profonde: molte infatti le similitudini con ricette del mondo antico. Già Catone il Censore nel suo libro “De Agricoltura” cita una ricetta chiamata Placenta, che risulta essere molto simile e Petronio nel Satyricon parla proprio di una pietanza fatta con farina  e formaggio intriso di miele.

Sebada al miele, dolce tipico dalla SardegnaVarie le interpretazioni della ricetta base negli anni, ma che girano tutte attorno alle due tipologie principali: con formaggio cotto e con formaggio crudo, quest’ultima detta “a sa mandrona” (alla maniera della poltrona), nel senso di “pigra”. Gli ingredienti sono molto semplici: semola, strutto animale, formaggio fresco acido, miele (o zucchero) ed eventuale scorza di limone grattugiata.

Il formaggio può essere vaccino, ma la ricetta originale prevede il formaggio pecorino, ideale nella preparazione, per il giusto grado di acidità. Nel caso si utilizzi il formaggio vaccino va fatto inacidire, senza farlo passare per la salamoia, lasciandolo a temperatura ambiente. Per la variante con formaggio cotto, il formaggio va tagliato a scaglie e sciolto in un tegamino, con un po’ di latte per evitare che si attacchi e quando è ben sciolto va addizionato con la scorza di limone grattugiata. Con l’impasto vanno fatti dei dischi di circa 12-15 cm di diametro e 8 mm di altezza. Per la variante con formaggio crudo, quest’ultimo viene grattugiato grossolanamente o, più semplicemente, tagliato a scaglie ed unito alla scorza di limone grattugiata. La sfoglia (semola sarda, acqua e strutto) deve essere lavorata finemente. Sulla sfoglia si pongono i dischi di formaggio, li si ricopre con un’altra sfoglia e si fanno dei “ravioloni” tondi, con un margine di 4-5 millimetri eccedente il diametro del disco di formaggio, eliminando bene l’aria dall’interno.

La seada va consumata fresca, prima che la sfoglia si secchi (quindi entro uno/due giorni). Si frigge in abbondante olio, eventualmente capovolgendola a metà cottura, anche se è preferibile cuocere la parte superiore versando l’olio sopra con un cucchiaio, con molta attenzione a non bucare la sfoglia. Infine va immersa nel miele riscaldato in un pentolino sino a diventare fluido e servita immediatamente, prima che il ripieno si raffreddi e solidifichi.Le varianti di questo dolce sono diverse sul territorio sardo, infatti è previsto, ad esempio, che la semola della pasta venga sostituita da farina di grano in diverse percentuali, oppure viene aggiunta alla lista degli ingredienti, al posto della scorza d’arancia quella di limone. La variante presente nella località di Ozieri prevede addirittura nel ripieno la presenza di uvetta e prezzemolo. Da qualche anno si stanno diffondendo anche versioni “commerciali” delle sebadas, per andare incontro al grande pubblico, reperibili nelle grandi catene di distribuzione.

Contribuisce a renderlo un prodotto conosciuto ed apprezzato anche a livello nazionale, un ambito premio, messo in palio dalla LAORE, agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale appartenente alla Regione Sardegna, assegnato ogni anno alla migliore seada artigianale.

 

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