Dai tempi in cui Marinetti, nel suo Manifesto della cucina futurista (1930) chiedeva «l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana», ne è passata acqua sotto i ponti.

Se la pasta secca non è mai stata mai così utilizzata in cucina e popolare come oggi (basta fare una ricerca su internet) adesso arriva anche la raccomandazione di preferirla al pane, dal neonato “Consorzio della qualità dei carboidrati” costituito dai maggiori esperti mondiali di alimentazione che si sono riuniti a Stresa (Novara) a metà di giugno 2013. Nella dieta quotidiana, meglio preferire un bel piatto di pasta al dente, insomma, al pane. Perché il problema non sta tanto nella quantità dei carboidrati inseriti nella dieta, quanto piuttosto nella loro qualità e in considerazione del rapido aumento dell’obesità e del diabete, gli esperti riuniti a Stresa lo hanno messo nero su bianco nel “Documento di Consenso internazionale sull’ Indice Glicemico (IG) dei carboidrati”.

«Per una dieta sana non basta tener conto dei grassi, ma anche dei carboidrati, della loro quantità ma soprattutto della qualità – spiega Andrea Poli, direttore scientifico di Nutrition Foundation of Italy – Da questo punto di vista, il carboidrato che ne esce meglio è la nostra pasta che, se di grano duro e cotta  al dente ha un IG di 45, preferibile al pane bianco (70). Ma se la pasta è troppo cotta l’IG sale. Così come sale l’IG dei riso e di tutti i carboidrati contenenti amido se la cottura viene prolungata».

L’indice glicemico dei carboidrati, in particolare, consente di misurare la velocità con cui sale la glicemia dopo aver assunto un certo alimento contenente 50 g di carboidrati, velocità che viene confrontata con quella del glucosio, cui si è attribuito un valore arbitrario di 100. I carboidrati ad alto IG sono quelli che hanno un valore superiore a 70, quelli a medio IG stanno fra 56 e 69 e quelli a basso IG sono inferiori a 56.

E se il riso comune ha un alto indice glicemico (104) rispetto alla qualità basmati (53) o il parboiled (69), bisogna fare attenzione ai dolci, soprattutto quelli industriali, prodotti con fruttosio, che hanno un indice altissimo (superiore a 100), ma anche alle modalità di preparazione: per le patate, ad esempio, varia a seconda di come le si cuocia, (microonde, 117, vapore 93, bollite 77).

In alcuni Paesi, come Australia e Nuova Zelanda, è stato applicato un logo agli alimenti che permette al consumatore di identificare quelli a più basso IG.
«L’IG – dice Livia Augustin del St. Michael’s Hospital di Toronto – può essere ridotto anche da alti contenuti di fibre. Ed è bene che nella dieta compaiano cereali non raffinati, oltre a legumi come fagioli (21-32), ceci (22-34) e lenticchie (42)», aveva visto lontano Ancel Keys, l’ideatore della Dieta Mediterranea, riconoscendo alla pasta il ruolo di regina della tavola.

 

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