Pecorino tagliato a fette, passato in una pastella di uova, farina e acqua e poi immerso per qualche minuto in abbondante olio bollente: è il “cacio fritto pastellato”, un’irresistibile specialità nata secoli fa nelle case delle campagne abruzzesi, in un’epoca in cui ogni famiglia aveva il suo piccolo gregge di pecore che serviva per il proprio sostentamento. Con il latte appena munto le mogli dei pastori facevano il formaggio, che non mancava mai sulla loro tavola: lo mangiavano a ogni ora, da solo o col pane caldo, oppure lo utilizzavano per preparare piatti semplici e buonissimi, che fanno parte ancora oggi del patrimonio gastronomico della regione. Tra queste c’erano le pallotte cace e ova – polpettine di rigatino fritte e condite con salsa di pomodoro –, il pecorino “in carrozza” – racchiuso tra due fette di pane bagnate nel latte con qualche filetto d’acciuga, impanato e fritto – e, appunto, il cacio pastellato, uno dei tanti ‘sfizi’ a base di formaggio nati dalla creatività delle massaie di questa terra, che pur avendo a disposizione pochi ingredienti ideavano autentiche golosità per deliziare marito e figli.
Originario delle colline teramane ma ormai diffuso in tutto l’Abruzzo, nelle case di contadini e pastori il cacio fritto era spesso il protagonista del pasto serale, quando l’intera famiglia si riuniva attorno al focolare domestico al termine di una faticosa giornata di lavoro. Oggi, invece, viene gustato soprattutto come antipasto, ma è anche un cibo di strada immancabile nelle sagre e nelle feste di paese, dove è venduto accanto ai celebri arrosticini, gli spiedini di pecora e agnello cotti sulla furnacella.
Per preparare un formaggio fritto da ‘da leccarsi i baffi’ sono necessari alcuni accorgimenti: bisogna scegliere il pecorino fresco, che ha un sapore più dolce e durante la cottura si scioglie – ma non troppo – diventando morbido; la pastella deve avere una consistenza piuttosto densa, per legarsi bene al formaggio senza scivolare via; l’olio – preferibilmente di oliva –, infine, deve essere caldissimo, per far indurire l’impanatura e farla diventare dorata e croccante, impedendo al cacio di fuoriuscire.