Agnello con i carciofi, favata alla barbaricina, cavolata, minestra di lenticchie. In questi antichi piatti si nasconde uno dei segreti della lunga vita del popolo sardo. Di recente un team di giovani cuochi ha deciso di riportarli in vita, sotto l’attenta supervisione dei nonni e delle nonne della Barbagia e dell’Ogliastra, due zone della regione dove si concentra un altissimo numero di centenari (pari a tre volte quelli di tutti i paesi occidentali).
Gli chef hanno realizzato un menu completo con pietanze della tradizione locale, sottoponendole poi al giudizio di Angela, Mario, Luigi, Elvira, gli “allievi” – tutti ultra 80enni – che frequentano i corsi della “Scuola di formazione dei promotori della longevità e dell’invecchiamento attivo di successo”, nata nel dicembre scorso dalla partnership tra l’Associazione Medicina Sociale e la Comunità Mondiale della Longevità, che ha sede presso l’Istituto di Formazione al Lavoro di Assemini (Cagliari).
In tavola sono comparse le zucchine con la fregola, la tipica pasta regionale dalla forma simile al couscous, la minestra di fregola e carciofi, la zuppa di lenticchie alla sarda – servita con il pecorino grattugiato –, i golosi culurgiones, ravioli a forma di mezzaluna ripieni di patate, pecorino e menta, e il pane frattau, ovvero il sottile pane carasau condito con sugo di pomodoro, formaggio e uova in camicia. E, ancora, la favata alla barbaricina, una sostanziosa zuppa a base di fave secche, carne di maiale, lardo e cotenna; la pecora in cappotto, uno stufato di carne ovina con patate, menta e rosmarino, e la cavolata, una minestra a base di stinco di maiale e cavolfiore.
Secondo Roberto Pili, presidente della Comunità Mondiale della longevità, tra le pagine degli “antichi quaderni delle massaie, con le ricette scritte a lapis su pagine di fogli quadrettati con mano ferma e bella grafia, sono racchiuse le regole del viver sano e mangiare con gusto”. Ecco perché è fondamentale riscoprire questi piatti lontani, che hanno sempre caratterizzato la dieta dei pastori e dei contadini sardi, ma che dalle giovani generazioni sono stati progressivamente messi da parte perché troppo “impegnativi”; gli chef li hanno perciò cucinati con alcuni accorgimenti, riducendo i tempi di preparazione e cottura, per adattarli alle esigenze e agli stili di vita odierni.
La marcia in più dei cibi sardi
La marcia in più dei cibi sardi
L’alimentazione influisce in maniera determinante sulla straordinaria longevità dei sardi, insieme al fattore genetico, che resta quello principale. A dimostrarlo sono i risultati del Progetto Akea – acronimo di A Kent’Annos, un augurio che nel dialetto locale significa “a cent’anni” –, avviato nel 2002 da un team di ricercatori dell’Università di Sassari coordinati dal prof. Luca Deiana.
Lo studio ha accertato che gli alimenti sardi hanno davvero una ‘marcia in più’: gli ortaggi e i legumi sono coltivati soltanto per il consumo locale, senza sostanze chimiche o pesticidi; il vino rosso, prodotto a livello familiare, contiene percentuali molto elevate di resveratrolo, dalle note virtù antiossidanti; la frutta viene raccolta direttamente dagli alberi del giardino di casa ed è ricchissima di polifenoli, che contribuiscono a mantenere giovane il sistema nervoso.
Ma la vera sorpresa è rappresentata dal latte delle pecore e delle capre degli allevamenti bradi – e dal formaggio che se ne ricava –, che racchiude bacilli in grado di resistere all’acidità gastrica e tenere sotto controllo i livelli di colesterolo. Particolarmente benefico anche quello fermentato – chiamato in dialetto “gioddu” –, simile allo yogurt, preparato artigianalmente dai pastori, che vanta un elevatissimo contenuto di fermenti lattici e di principi attivi facilmente assimilabili. Prezioso, infine, l’olio di lentisco – ricavato dalla pianta omonima –, ricco di acidi grassi essenziali e con una buona concentrazione di vitamina E, un tempo destinato alle tavole dei poveri che non potevano permettersi l’extravergine ma oggi rivalutato grazie alle sue proprietà nutrizionali.