La Toscana è terra di zuppe: la ribollita con il cavolo nero e i fagioli bianchi, la sbroscia con la zucca e i borlotti, la pappa al pomodoro, e poi il pancotto e la minestra alla Garfagnina con il farro della Garfagnana DOP. Tra le tante ricette contadine nate in questa regione così fertile, ce n’è una che è diventata famosa perché ha avuto tra i suoi estimatori uno dei principali artefici dell’Unità d’Italia: Bettino Ricasoli. Passata alla storia proprio come “Zuppa alla Ricasoli”, in onore del “Barone di ferro”, è una pietanza nutriente e corroborante, ideale per la stagione fredda.
Ricasoli apparteneva a una delle casate più antiche dell’aristocrazia fiorentina e, dall’età di vent’anni, cominciò a occuparsi personalmente della tenuta della sua famiglia a Gaiole in Chianti, nella campagna senese: tra i suoi piatti preferiti c’era una zuppa umile ma sostanziosa e buonissima, cucinata con le verdure dell’orto e con la carne di maiale, che era immancabile nelle case più povere perché costava poco e dava sapore. Le massaie la preparavano con il cavolo bianco (chiamato anche cavolo cappuccio, dalle foglie compatte e di colore chiaro), che tagliavano a striscioline e lasciavano appassire in una pentola di coccio con abbondante olio d’oliva, aggiungendo successivamente fagioli cannellini già lessati, pezzetti di pancetta, qualche salsiccia all’aglio – una specialità del Chianti – privata del budello e sbriciolata. Continuavano poi la cottura con del brodo vegetale e, una volta pronta, la servivano caldissima su fette di pane, naturalmente sciocco, abbrustolite sulla brace.
Fu il cuoco fiorentino Ferdinando Grandi, nella sua opera Il Cuciniere economico o L’Arte di far la buona cucina (1870), a dare a questa ricetta il nome di Zuppa alla Ricasoli, con cui la conosciamo oggi.