In passato, anche durante la guerra, quando scarseggiava la farina di frumento o quella di mais, era considerato una pietanza “sfamafamiglie”, perché con “poca spesa e tanta resa” era in grado di saziare un’intera casa. Nato come dolce ma, al pari del migliaccio, buono anche come pranzo o cena, il castagnaccio è (o meglio è stato) un caposaldo della cucina e dell’alimentazione italiana.
È un dolce autunnale “povero” dalla consistenza corposa e dal gusto molto particolare: ottenuto con farina di castagne, acqua, olio extravergine d’oliva, una manciata di uva passa, pinoli e aghi di rosmarino cosparsi sulla superficie – che rilasciano nell’impasto il loro penetrante profumo – viene cotto in forno fino a diventare di un bel colore marrone scuro, con la parte superiore leggermente “screpolata”. Finite le castagne, lo si preparava anche durante i mesi invernali e in primavera con la farina conservata gelosamente durante tutto l’anno.
Le origini contadine
Le origini contadine
Come tanti altri piatti storici della tradizione italiana, le origini del castagnaccio sono legate alla necessità di dar da mangiare a tante bocche avendo a disposizione poche risorse. In ogni casa di campagna non mancava mai qualche chilo di farina di castagne.
Lo ritroviamo in quasi tutta l’Italia settentrionale e centrale – dal Piemonte al Trentino Alto Adige, dalla Lombardia al Veneto, dalla Liguria alla Toscana, fino all’Emilia Romagna, all’Abruzzo, alle Marche e al Lazio –, regioni ricche di castagneti, ma anche in Campania. Nutrienti e poco costose (a differenza di oggi), le castagne in passato erano immancabili nelle case dei contadini che le consumavano in abbondanza, lesse, arrostite sul camino o nelle minestre, a cui danno sostanza e sapore; una parte era macinata nei mulini a pietra azionati dall’acqua e si trasformava in farina. Quest’ultima era poi impiegata per cucinare la polenta – unita alla farina di mais –, la pasta fresca e, appunto, il castagnaccio.
Sebbene sia difficile stabilire con certezza il suo luogo di nascita, da più parti è la Toscana ad essere considerata la patria di questo dolce – esportato nel resto d’Italia a partire dall’Ottocento – qui diffusissimo e indicato con appellativi diversi a seconda della città: “migliaccio” – come la specialità partenopea, completamente diversa,a base di semolino e ricotta – a Firenze; “pattona” in Lunigiana – qui c’era l’usanza di cuocerlo nelle foglie di castagno, utilizzate come “teglia”; “toppone” a Livorno; “baldino” ad Arezzo; “torta di neccio” a Lucca; infine con il nome originale di “castagnaccio” a Siena e Prato, dove viene rispettivamente cucinato con la farina di castagne del Monte Amiata, disponibile soltanto da fine novembre, e della Val di Bisenzio.
L’umanista Ortensio Lando, nel Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia e di altri luoghi (1553) ne attribuì l’invenzione a un certo Pilade da Lucca, “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”; in seguito la ricetta fu riportata da Vincenzo Tanara, agronomo bolognese vissuto nel XVII secolo, che nella sua opera L’economia del cittadino in villa, descrisse diverse versioni dei “castagnazzi”, dolci che in realtà con la ricetta tradizionale condividevano soltanto la farina di castagne – erano arricchiti con “cacio parmigiano”, “cacio nostrano grasso”, o ancora fritti “in padella con butiro”.
Secondo una curiosa leggenda, gli aghetti di rosmarino usati nel castagnaccio avevano il potere di far nascere l’amore, perciò se una fanciulla avesse offerto un pezzetto di castagnaccio al giovane di cui era innamorata, questi ne avrebbe presto ricambiato i sentimenti e condotta all’altare.
La ricetta
La ricetta
La ricetta più antica prevedeva l’uso di due soli ingredienti: la farina di castagne e l’acqua. A volte, nel periodo della spremitura delle olive l’impasto era ammorbidito con un goccio d’olio. Col tempo e con il migliorare delle condizioni di vita arrivarono anche l’uvetta, i pinoli e il rosmarino.
Oggi il castagnaccio è proposto in molteplici varianti: spesso il composto di base viene addolcito con lo zucchero o il miele e reso più ricco con semi di finocchio o noci spezzettate, cioccolato, fichi secchi oppure scorzette d’arancia candite.
Ingredienti
500 gr di farina di castagne
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2 bicchieri di acqua fredda
70 gr di uva passa ammollata in acqua e strizzata
40 gr di pinoli
Un rametto di rosmarino
Un pizzico di sale
Olio q.b. per ungere la teglia
Procedimento
In una ciotola stemperate la farina setacciata con l’acqua, facendo attenzione a non far formare grumi. Quando il composto avrà ottenuto una consistenza omogenea e piuttosto liquida, aggiungete l’olio, un pizzico di sale, i tre quarti dell’uvetta e dei pinoli e mescolate. Ungete una teglia con un filo d’olio e versate il composto al suo interno, ricoprite con la restante uva passa, i pinoli e con le foglie di rosmarino. Fate cuocere il castagnaccio per mezz’ora a 200 gradi (sarà cotto quando la superficie si sarà “screpolata”). Servitelo freddo, tagliato a losanghe.